Il 60% degli italiani ritiene che l’alimentazione possa essere una chiave per rafforzare le difese immunitarie contro Covid-19. Circa un terzo dei connazionali, il 33%, non ha un’opinione e vorrebbe capire meglio. Inoltre, dall’inizio della “fase 2” dell’emergenza Covid-19 il 15% della popolazione italiana dichiara di aver aumentato il consumo di integratori alimentari per difendersi dalla malattia. Una tendenza ancora più marcata tra coloro che hanno un titolo di studio elevato (master o dottorato) e che più temono il rischio di contagio da Covid-19, mentre gli italiani di età compresa fra i 60 e 70 anni hanno diminuito il consumo di integratori alimentari, contrariamente al resto della popolazione.
Questi dati - emersi da una recentissima ricerca promossa da EngageMinds Hub dell’Università Cattolica, campus di Cremona - hanno spinto i ricercatori a chiamare a raccolta un gruppo di super esperti per approfondire in un webinar in corso oggi la questione. «È importante che la scienza dialoghi con i cittadini che sono consumatori e pazienti – considera la professoressa Guendalina Graffigna, docente di Psicologia dei consumi e direttore dell’EngageMinds Hub alla Cattolica – proprio per adottare, a tavola e non solo a tavola, comportamenti positivi sia a livello individuale che sociale».
«Grazie a Ircaf, Centro di riferimento Agro-Alimentare Romeo ed Enrica Invernizzi – prosegue il professor Lorenzo Morelli, docente di microbiologia e direttore del Distas (Dipartimento di scienze e tecnologie alimentari) dell’Università Cattolica – abbiamo potuto oggi approfondire la concatenazione positiva tra alimentazione, equilibrio del microbiota intestinale e difese immunitarie. Sia in generale che, nello specifico, contro il Sars-Cov-2».
I dati sui consumi alimentari emersi dalla ricerca dell’EngageMinds Hub della Cattolica – condotta attraverso un sondaggio che ha coinvolto un campione con più di mille persone perfettamente rappresentativo di tutta la popolazione italiana e realizzato con metodologia Cawi (Computer Assisted Web Interview) – non si limitano a fotografare la situazione attuale, ma si spingono a valutare le intenzioni di comportamento degli italiani. Secondo l’analisi del team di ricerca, coordinato dalla professoressa Graffigna e composto da Greta Castellini, Lorenzo Palamenghi, Mariarosaria Savarese e Serena Barello, emerge che nel prossimo futuro i consumatori italiani intendono incrementare gli acquisti di cibi ricchi in vitamine e antiossidanti. Una crescita valutata dall’indagine in +17% e che arriva a +28% tra coloro che si sentono “ad alto rischio di contagio” e a +33% fra coloro che hanno un titolo di studio elevato (master e/o dottorato).
Anche l’igiene lungo la filiera alimentare gioca un ruolo importante nella partita tra alimentazione e rischio percepito. Il 24% degli intervistati teme di poter contrarre Covid-19 a causa di possibili contaminazioni dei prodotti alimentari, dato ancora più marcato al Sud e Isole (30%) e tra chi ha una specializzazione post lauream (35%).
«L’attenzione per l’igiene degli alimenti non solo nelle fasi produttive, ma anche di trasporto e di manipolazione appare marcata e in crescita per via della paura del contagio – sottolinea la professoressa Graffigna –: il 70% del campione intervistato, infatti, dichiara che nei prossimi mesi starà ancora più attendo alla manipolazione degli alimenti e delle loro confezioni per prevenire il contagio da Covid-19. Per i consumatori oggi è cruciale trovare nei punti vendita e nei locali adibiti alla somministrazione di alimenti rassicurazione circa la loro igiene nonché ricevere informazioni sulle regole igieniche per come trattare i cibi una volta portati a casa».
«La prevenzione oggi è fondamentale anche per evitare futuri nuovi focolai – sottolinea il professor Walter Ricciardi, docente di Igiene generale e applicata presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica, campus di Roma e Consigliere scientifico del Ministro della Salute per la pandemia da coronavirus –; un’accurata educazione dei cittadini è dunque un asset imprescindibile per garantire l’aderenza alle diverse misure comportamentali di contenimento del virus oltre che agli stili di vita idonei per prevenire le complicanze della malattia. Le condotte alimentari corrette sono essenziali per contribuire alla salute delle persone e da sempre costituiscono un’area importante su cui è necessario concentrare sforzi educativi e di sensibilizzazione della popolazione».
«Oggi sappiamo che, in termini generali, la prognosi di Covid-19 è peggiore in chi soffre di patologie croniche, soprattutto a carico del cuore, o diabete e nelle persone in sovrappeso – afferma il professor Andrea Ghiselli, nutrizionista e presidente della Sisa (Società italiana scienza dell’alimentazione). In particolare chi presenta un quadro di ipertensione, iperglicemia e grasso addominale, oltre ad avere un maggiore rischio d’infiammazione può presentare squilibri nutrizionali e magari anche carenza di vitamina D, utile al sistema immunitario. Ma – sottolinea Ghiselli – bisogna fare attenzione: non occorre confondere la causa con l’effetto e pensare di risolvere con gli integratori quanto piuttosto sui canoni dell’alimentazione corretta, ovviamente nell’ambito di uno stile di vita sano, basato sul consumo di alimenti vegetali (cereali integrali, legumi, frutta e verdura), ma che non escluda prodotti di derivazione animale e che preveda una regolare attività fisica».
«Una cosa è la suscettibilità a sviluppare un'infezione virale sintomatica, un’altra è invece il potenziale di combattimento che si ha contro il virus: entrambi dipendono dallo stato di nutrizione/malnutrizione e quindi dall’immunocompetenza dell’individuo – ha chiarito il professor Fabrizio Pregliasco, virologo dell’Università degli Studi di Milano e direttore sanitario dell’Istituto ortopedico Galeazzi. In termini generali, migliore è lo stato nutrizionale dell'ospite, maggiore è la sua immunocompetenza, minore è la virulenza del Sars-Cov-2».