In un mondo in cui tutto ciò che fa rima con cultura sembra essersi cristallizzato - cinema e teatri chiusi, musei inaccessibili al pubblico se non in modalità virtual tour, biblioteche in lenta riapertura e il settore dell’editoria in leggere ripartenza – esiste un’arte che non si è mai fermata, continuando a essere commercializzata e fruita dalle persone anche nel periodo di isolamento sociale.
Già perché la musica, complice la smaterializzazione del supporto che da fisico è divenuto digitale da ormai oltre un decennio, ha continuato a farci compagnia nelle radio, tramite app e piattaforme dedicate, sui dispositivi digitali a nostra disposizione. Ne abbiamo parlato con Silvia “Sissi” Zorzetti, laureata al Dams e in Filologia Moderna alla facoltà di Lettere e filosofia della sede di Brescia dell’Università Cattolica, che per l’etichetta indipendente Time Records si occupa quotidianamente di New Media, Social Media marketing e promozione digitale.
In corsa consiste la tua professione? «Mi occupo della gestione dei New Media a supporto promozionale della musica prodotta da Time Records. Social network come Facebook, Instagram o Twitter rappresentano importanti veicoli di promozione online; piattaforme come YouTube vanno gestite al di là del mero caricamento di contenuti audiovisivi ma anche e soprattutto monitorando le visualizzazioni da un punto di vista quantitativo e qualitativo; Spotify è tra le piattaforme digitali più utilizzate al mondo e fondamentali sono la gestione dei profili artisti e delle playlist; Tik Tok può utilizzare la tua musica e quindi è importante per la monetizzazione. Nel mezzo c’è tutto il lavoro di pianificazione dei budget promozionali, la definizione della time line per le pubblicazioni di brani o compilation, le strategie di digital marketing da individuare in base anche ai dati forniti dalle analytics, la risoluzione di eventuali conflitti nei Paesi con licenza di riproduzione della musica dell’etichetta, il controllo della presenza di utenti esterni che monetizzano con la tua musica e, in tal caso, risolvere la cosa. Nel fare tutto ciò mi interfaccio con un’altra persona, l’Head of Digital Marketing che detta linea e scelte strategiche, e lavoro a stretto contatto col nostro grafico, a cui è affidato il compito di delineare immagine e linea grafica dei prodotti. Il reparto New Media è composto sostanzialmente da queste tre figure, insieme lavoriamo per l’ottenimento di una brand identity riconoscibile».
Com’è la giornata tipo all’interno del vostro team? «Non esiste! Elaboriamo un piano editoriale settimanale ma è davvero difficile rispettarlo rigorosamente, occorre ricalcolare in base alle novità e all’imprevisto. Faccio un esempio, Netflix manda in onda la puntata di una serie nella cui colonna sonora c’è un brano prodotto dall’etichetta? Bene, si modifica e ci si ricalibra a partire da quello. Doti fondamentali per questo mestiere sono flessibilità, capacità di confronto con i colleghi e ragionamento multitasking».
Alla luce dell’attuale situazione, è cambiato qualcosa nel vostro modo di comunicare con gli utenti? «Non moltissimo. Con o senza pandemia, in generale occorre prestare molta attenzione al modo in cui si veicolano i concetti, occorre spiegarli in modo chiaro e corretto per non lasciare spazio ad interpretazioni pretestuose. Da un punto di vista pratico, inoltre, la musica di oggi è “liquida”, non ha il vincolo di un supporto fisso che deve passare in dogana e pertanto non è soggetta a subire barriere fisiche, geografiche e sociali. Certo, vengono pubblicati ancora cofanetti speciali o edizioni in vinile, ma si tratta di eccezioni».
Che tipo di comunicazione avete impostato? «Il messaggio che come team comunicazione abbiamo voluto veicolare in questo particolare momento è che la musica non può e non deve fermarsi: un fatto che non significa mancanza di rispetto, bensì aiuto e supporto alla quotidianità persone. Ascoltare musica allieta il tempo, la musica è accanto alle persone in auto come durante l’isolamento, aiuta a relazionarsi con le emozioni, arriva in modo immediato tramite sensazioni e senza distinzioni sociali. Poi certo, si è fermato l’apparato dei concerti live e dei brani trasmessi nei locali, ma a differenza di altre arti la musica ha anche altri canali di distribuzione, penso ad iTunes, Spotify, Soundcloud, solo per fare qualche esempio».
Quali delle competenze acquisite sui banchi dell'Università Cattolica ti sono state utili nella tua attuale professione e quali invece sono in continua evoluzione? «Più che di nozioni accademiche, parlerei della grande utilità che può avere l’approccio all’apprendimento. Il percorso universitario non deve essere animato da questioni di voto all’esame, quanto piuttosto dalla curiosità di assorbire concetti e capire punti di vista diversi dal proprio. Una qualità che porta a fare la differenza nella vita come nel lavoro. Degli anni trascorsi alla Cattolica di Brescia ricordo bene il valore della relazione, dei rapporti costruiti con persone con cui tutt’ora mi capita di interfacciarmi per scambiarci consigli nei rispettivi campi di competenza».
Hai qualche suggerimento per gli studenti che aspirano a lavorare nel tuo settore? «Il periodo che abbiamo vissuto, e che stiamo tutt’ora vivendo, ha sottolineato in modo lampante una grande verità: professionalmente abbiamo il dovere di fare ciò che ci piace, seguendo le nostre reali inclinazioni (ovviamente essendo portati per la materia) in un contesto che ci fa sentire adatti in quello che facciamo. C’è una frase di Albert Einstein che riassume bene il concetto “Ognuno è un genio, ma se si giudica un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi sugli alberi, lui passerà tutta la sua vita a credersi stupido”. Trovo inutile scegliere una strada perché ci dicono che rappresenta un futuro sicuro. Viviamo una realtà in cui non v’è nulla di certo e niente è immutabile, il mondo del lavoro è profondamente cambiato rispetto a quello che hanno conosciuto i nostri genitori, e questo virus ce l’ha dimostrato in modo chiarissimo. Per questo occorre specializzarsi ma anche guardarsi costantemente attorno; del resto la mia è una generazione abituata ad avere non solo un piano A, ma anche un piano B e C».