A margine del vertice del G7 che si è concluso nei giorni scorsi a Biarritz, pubblichiamo il commento del professor Raul Caruso, docente di Elementi di Economia internazionale e di Economia della pace alla facoltà di Lingue e letterature straniere, campus di Milano
di Raul Caruso
Il G7 nacque diversi anni fa con un obiettivo: affrontare e risolvere crisi globali o comunque i grandi temi dell’economia mondiale. A dispetto degli sforzi mediatici del presidente francese Emmanuel Macron, il vertice appena concluso a Biarritz non ha prodotto alcun risultato tangibile. I leader dei più importanti Paesi industrializzati non si sono ritrovati d’accordo quasi su niente se non su un elenco di obiettivi vaghi e facilmente condivisibili o su di un piccolo aiuto “simbolico” al Brasile per gli incendi in Amazzonia. In merito alle grandi questioni politiche aperte (Iran, Libia e Ucraina su tutte) non vi sono salti in avanti verso risoluzioni condivise. Per comprendere come mai un vertice tra le principali potenze economiche del pianeta in un mondo interconnesso non conduca ad alcun risultato tangibile è necessario considerare due punti fondamentali.
Il primo riguarda l’approccio dell’amministrazione americana alla politica estera. Questa fin dall’inizio è stata ridisegnata secondo una sostanziale discontinuità rispetto alle amministrazioni precedenti, non solo quelle a guida democratica. In pratica, l’approccio alla politica estera di Trump sembra ripercorrere uno schema antico del diciannovesimo secolo, vale a dire una politica fatta di supremazia militare, militarismo economico, protezionismo commerciale ed enfasi sui rapporti bilaterali e non su quelli multilaterali.
Alla prova dei fatti, tuttavia, la “nuova” politica estera dell’amministrazione Trump finora è stata un evidente fallimento: l’accordo con la Corea del Nord non si è mai realmente concretizzato e le minacce di Kim Jong-un sono ricominciate con nuovi lanci di missili; la Turchia a guida Erdogan ha de facto lasciato la Nato ed è passata nelle braccia della Russia; il tentativo di sostituire il presidente Maduro in Venezuela è naufragato e la crisi in corso è ben lungi dall’essere risolta; il confronto con la Cina sui dazi non ha “ri-bilanciato” le relazioni commerciali con Pechino ma piuttosto ha stimolato gli scambi tra la Cina e altri Paesi. Infine (non per ordine di importanza), l’incapacità di mantenere un dialogo aperto con la Russia in merito al trattato INF ha condotto a un suo fallimento definitivo.
La leadership americana in ambito internazionale, quindi, è seriamente compromessa non solo per la perdita di credibilità a causa degli errori commessi e del carattere ondivago del suo Presidente ma anche del fatto che questa filosofia di politica estera semplicemente non è percorribile finanche dalla più grande potenza del mondo.
Il secondo punto per comprendere il perché dell’insuccesso del vertice di Biarritz è la permanente divisione tra i Paesi europei. Se da un lato i singoli leader appaiono eccessivamente vincolati da vicende politiche interne per riuscire a giocare un ruolo comune davvero significativo, dall’altro l’integrazione europea da diversi anni vive un rallentamento, se non una vera e propria fermata, e gli scogli su cui si arenano sono sempre le eventuali politiche comuni in ambito di sicurezza e difesa e più in generale di politica estera.
A Biarritz Francia e Germania, per esempio, hanno dichiarato che organizzeranno un summit per la risoluzione della crisi in Ucraina ma è evidente che qualsivoglia tentativo in questo senso non potrà essere costruttivo se gli altri grandi Paesi europei della Nato (Italia e Regno Unito su tutti) non si troveranno d’accordo. Questa incapacità delle grandi potenze economiche mondiali di ritrovare una linea comune prende forma, peraltro, in un clima di incertezza rispetto all’economia mondiale che, seppur in crescita, sembra dare segnali discordanti a causa del protezionismo commerciale e degli irrisolti rischi geopolitici in molte aree del pianeta.
Purtroppo il prossimo anno non vedrà cambiare di molto queste tendenze in corso poiché, come sovente accade, spartiacque di un nuovo corso saranno le prossime elezioni presidenziali americane del novembre 2020. I Paesi leader dell’Unione europea invece di rimanere in attesa e stare a guardare dovrebbero una volta per tutte provare a ritagliarsi un ruolo comune in particolare in ambito di difesa e sicurezza. Sfortunatamente, i leader europei hanno sovente dimenticato la storia e i suoi insegnamenti, in particolare quelli che riguardano l’integrazione europea e la costruzione della pace nel vecchio continente. Auguriamoci che la prossima Commissione europea sappia finalmente recitare un ruolo nuovo anche in questa direzione.