Il 3 agosto è stata una data importante per i riders. Per la prima volta Cgil, Cisl e Uil, Assodelivery, associazione datoriale che rappresenta le piattaforme più importanti, e alcune organizzazioni sindacali minori siederanno attorno a un tavolo organizzato dal ministero del Lavoro. All’ordine del giorno: la trattativa per dare ai riders un contratto collettivo nazionale di lavoro. Dopo mesi di attesa, tra scioperi, manifestazioni in piazza e lockdown, si potrebbe finalmente arrivare a un punto di svolta per questa categoria di lavoratori, ancora poco tutelata. Eppure c’è chi è scettico sui risultati del negoziato. «Con buona probabilità non avrà buon esito». Chi parla è Michele Faioli, docente di Diritto del lavoro nella facoltà di Economia dell’Università Cattolica e tra l’altro autore assieme con Matteo Luccisano, avvocato giuslavorista, di un articolo pubblicato sul giornale online il Menabò dell’Associazione Etica ed Economica, che ricostruisce in maniera puntuale e dettagliata questa complessa vicenda di relazioni industriali.
Professor Faioli, che cosa rappresenta il 3 agosto? «Il ministero del Lavoro ha convocato il sindacato, cioè Cgil, Cisl, Uil, alcune organizzazioni per lo più spontanee che rappresentano i riders e l’associazione imprenditoriale Assodelivery che raccoglie le maggiori piattaforme, per intenderci Uber, Deliveroo... Questo tavolo dovrebbe chiudere entro novembre - un termine imposto dalla legge del 2019 introdotta con l’intento di garantire specificatamente i riders che sono lavoratori autonomi – un negoziato per permettere a questa categoria di avere una regolamentazione contrattuale e delle tutele».
Fin qui ci siamo. Qual è allora il problema? «Intanto il tavolo non è ben composto: servirebbe coinvolgere anche altre organizzazioni datoriali, per intenderci quelle della logistica, del terziario, dei pubblici esercizi, perché evidentemente Assodelivery da sola non è rappresentativa di quel mondo, e altre organizzazioni sindacali (tra cui, ad esempio, Ugl). E poi ci sono problemi sul livello sindacale da coinvolgere: nel senso che è chiaro se tale accordo verrà firmato Cgil, Cisl e Uil, intese come confederazioni, o dalle rispettive federazioni che occupano di logistica o terziario».
Quindi restano aperte una serie di questioni… «La legge – che probabilmente non è ben fatta – ragiona su una figura professionale di rider inteso come lavoratore autonomo. Quindi in un certo senso questo contratto non darà tutte le tutele che invece i riders si aspettano, che è quella tipica del lavoro subordinato. Bisogna capire che cosa accadrà. Si tenga presente che da qualche anno esiste il contratto collettivo dei riders/ lavoratori subordinati, firmato dalle organizzazioni datoriali e sindacali della logistica. La domanda che molti si stanno ponendo: che senso ha negoziare un contratto per lavoratori autonomi riders quando ne esiste già uno per i riders lavoratori subordinati? Insomma queste complicazioni non sono risolte né dalla legge né il ministero ha dato indicazioni. Le parti sociali si trovano in una situazione oggettiva di disagio. Non so se il 3 agosto è stato l’inizio oppure la fine di un negoziato».
Tutti, soprattutto i grandi media, sono concentrati sui riders che però rappresenta solo la punta dell’iceberg della gig-economy. «È un fenomeno molto più complesso e molto più ampio, dove per esempio esistono piattaforme che in realtà sono delle forme estreme di esternalizzazione. Pensiamo per esempio ad Amazon Mechanical Turk: nessuno si occupa di quelli che vi lavorano».
Come funziona questa piattaforma? «Immaginiamo un’impresa qualunque dotata di personale addetto alla ragioneria, al data entry o al marketing. Ecco su Amazon Mechanical Turk si possono acquistare ore/lavoro per lo svolgimento di questi servizi mediante una specie di asta sul prezzo. Per esempio: “Per questo data entry di 1.000 documenti offro mille euro. Chi desidera farlo?”. Chi risponde per primo prende il lavoro. Questo è il vero fenomeno su cui riflettere per il prossimo futuro e non solo quello riders che è parte marginale del fenomeno della gig-economy, tra l’altro facilmente assorbibile da regole già esistenti».
La sua proposta? «Cambia il lavoro perché cambia la fabbrica. La fabbrica che diventa digitale, si scompone, crea unità dematerializzate, esternalizza servizi, è gestita da robot intelligenti è il vero punto da cui muovere le indagini scientifiche e sociali. Fare il contrario significa invertire i presupposti della realtà. Il contratto collettivo della logistica o il contratto collettivo del terziario sono i primi due strumenti che possono risolvere oggi il problema dei riders. Si tratta di ripartire dai tavoli negoziali di questi settori. Da lì si deve iniziare a prendere coscienza della complessità del fenomeno per tutelare gradualmente, anche mediante contratti collettivi di altri settori, le varie figure professionali che nel tempo saranno proiettate nella gig-economy».
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