Pubblichiamo la parte iniziale dell’articolo del Venerdì di Repubblica in uscita oggi, con l’articolo dedicato al bassoprofondo Andrea Mastroni, il “cubista della lirica” come si definisce dialogando con l’autore. Mastroni si è laureato in Filosofia in Università Cattolica con una tesi su “Il ritorno d'Ulisse in patria”: il neoplatonismo accademico nel melodramma e nella vocalità barocca di Claudio Monteverdi, condotta sotto la supervisione del professor Sergio Martinotti
di Giuseppe Videtti
Non ha bisogno di bistrarsi gli occhi, di scompigliarsi i capelli, di indossare costumi elaborati. Gli bastano un ghigno, una smorfia, una risata, e la maschera del personaggio gli cala sul viso. Pallante, Sarastro, Ashby, Sparafucile, Benoit. Anche via Skype dall’appartamento di Milano, che ora è il teatro della sua personale Bohème, tetto spiovente e cucina sullo sfondo, lo spietato primo piano capace di deformare anche un bellissimo di Hollywood non lo imbarazza. Andrea Mastroni, bassoprofondo, impressionante tanto nel Don Giovanni quanto nel Rigoletto, non canta, tuona. E può farlo anche in inglese, tedesco e russo (Canti e danze della morte di Musorgskij è già andato in scena a Helsinki, Onegin di Cajkovskij sarà prossimamente a Barcellona).
All’abilità di attore provvedono il carisma naturale e il lungo apprendistato al fianco di registi audaci. Stando ai trionfi di una carriera iniziata quasi vent’anni fa, s’indovina che dev’essere appena entrato negli “anta”, ma preferisce non soffermarsi sul dato anagrafico, «non sveliamo il mistero del fanciullo», dice l’ardito barocchista con alle spalle tanto melodramma accentuando la mimica facciale col movimento delle sopracciglia perfettamente disegnate. Ed esorcizza con una risata mefistofelica l’impotenza di fronte alla pandemia che gli ha paralizzato la carriera. Spietatamente, alla vigilia della generale al Teatro Real di Madrid. [...]