di Roberto Brambilla
In comune hanno la passione per il capitale umano. Le università, dal punto di vista educativo. Le imprese, per lo sviluppo e il consolidarsi della propria mission. Università e imprese si fanno con le persone. Quali i possibili sviluppi di questo interessante rapporto?
«Nelle imprese, siano esse for profit o non for profit, opererà la grande maggioranza dei nostri studenti. Quindi è essenziale un rapporto vivo con queste realtà per gli studenti di tutte le facoltà, con una apertura e una curiosità che devono essere incentivate fin da matricola» spiega Mario Molteni (a destra), docente di Corporate strategy alla facoltà di Economia e delegato del rettore per i rapporti con le imprese. «Ci sono modi ormai consolidati di perseguire questo scopo: il coinvolgimento di uomini d’impresa nelle lezioni, gli stage (che ormai riguardano quasi 8.000 studenti l’anno), le giornate dedicate ad incontrare le imprese, come il career day che si svolge presso ciascuna delle nostre sedi in Italia. E poi ci sono strumenti che si sono radicati più di recente. Mi vengono in mente i dottorati industriali, progettati con le imprese per sviluppare insieme le competenze più avanzate; i master disegnati con una o più imprese, che sono veri e propri scivoli verso l’occupazione; o l’idea di affiancare a ciascuno studente di laurea magistrale un mentor identificato all’interno di un’impresa, come ha iniziato a fare qualche nostra facoltà».
Se l’università, nella realizzazione dei propri compiti, può trarre un beneficio dal coinvolgimento con imprese e istituzioni, anche le realtà professionali possono conseguire vantaggi nel rapporto con il mondo della ricerca e della formazione. Lei insegna Corporate Strategy, ha fondato e diretto un’Alta scuola di management, da sempre attiva e sviluppa relazioni intersettoriali. Secondo la sua esperienza, che cosa cercano le imprese nei rapporti con un ateneo? E che cosa trovano in Cattolica?«Un’impresa viva sa che il suo futuro è dato dalla qualità delle persone che riesce a coinvolgere. Un imprenditore mi ha detto: “L’impresa si fa con le persone. Chi teme quelli che ne sanno più di lui, chi si circonda di yes men, ha vita breve”. In questo senso le aziende migliori sono attente a cogliere tutte le opportunità per farsi conoscere, per attrarre persone di talento: competenti e intraprendenti. In Cattolica giovani così ce ne sono molti. Con due vantaggi peculiari: la grande varietà dei profili di competenze che si possono trovare; un certo imprinting culturale, direi umano, che il nostro Ateneo trasmette, come per osmosi, a chi lo vive intensamente. La traccia della nostra identità può essere, più o meno, intensa, ma c’è».
Si parla spesso di Terza missione delle università, intendendo tutte quelle attività di impatto sociale che gli atenei realizzano contestualmente alle proprie principali finalità: educazione e ricerca. C’è tutto il tema del trasferimento di conoscenza, del lifelong learning, del public engagement. L’Università Cattolica è un ateneo multidisciplinare molto articolato. Come le diverse anime si relazionano alla società in ottica di creare valore? «Ciascun docente universitario è l’interlocutore naturale di un pezzo di mondo: professionale, culturale, imprenditoriale. Chi sceglie la strada accademica sa e spera essere un fattore di cambiamento della società. Rispondere in poche battute a come questa tensione si esplica in Cattolica è impossibile…»
Proviamoci… «Me la cavo portando due esempi che sono emblematici del nostro modo di essere nel mondo. Il primo: le otto “Alte Scuole”, che rappresentano una formula originale nel panorama accademico italiano. Si tratta di centri caratterizzati da spirito imprenditoriale, in cui si elaborano corsi, master, ricerche applicate, servizi di consulenza su temi centrali per la vita sociale: il management della sanità, i media, la sostenibilità e l’ambiente.
E il secondo esempio? L’iniziativa che abbiamo chiamato Cattolicaper, che si sostanzia nella creazione di tavoli multidisciplinari destinati a soddisfare le esigenze di specifici mondi: il turismo, lo sport, la scuola, il Terzo settore, la pubblica amministrazione e così via. Questi tavoli sono luoghi di un’insolita intensità di collaborazione tra docenti di matrici diverse, che innalza la capacità dell’Università di generare risposte nuove».
L’università è essa stessa un’organizzazione che si trova a muoversi in un contesto economico e sociale ormai completamente mutato rispetto a qualche decennio fa. La relazione con altri attori imprenditoriali può aiutare un ateneo a essere più imprenditivo e competitivo? «Un’autentica innovazione necessariamente nasce lavorando con chi esprime esigenze nuove e con chi a sua volta innova. In questo senso, quanto più si ha a che fare con soggetti alla frontiera di una certa disciplina, quanto più ci si confronta ci si fa interrogare da essi, tanto più i contenuti e i metodi dell’università si rinnovano. Anche per questo diventa sempre più essenziale la dimensione internazionale».