Il 5 novembre si è tenuta nella sede di Milano dell’Università Cattolica del Sacro Cuore la lezione introduttiva del settimo Ciclo seminariale “Giustizia e Letteratura”, dal titolo «L’immaginazione narrativa nella formazione del giurista». All’incontro, presieduto e introdotto da Gabrio Forti, preside della Facoltà di Giurisprudenza, docente di Diritto penale e Criminologia e direttore del Centro Studi “Federico Stella” sulla Giustizia penale e la Politica criminale (Csgp), sono intervenuti i professori dell’Università Cattolica del Sacro Cuore Arturo Cattaneo, docente di Lingua e letteratura inglese, Arianna Visconti, ricercatore di Diritto penale e coordinatore del Csgp, e Claudia Mazzucato, docente di Diritto penale e Coordinatore del Csgp.
Il significato del Ciclo seminariale è studiare i legami tra la letteratura e la giustizia. Sebbene persista una visione tradizionale che enfatizza la contrapposizione del mondo del giurista, fatto di norme e rigide categorie, con quello della letteratura, caratterizzato dalla fluidità della narrazione, in realtà tali mondi hanno un fondamento comune. Il diritto e la letteratura sono due espressioni del medesimo bisogno umano di giustizia: anche la “grande” letteratura sorge, infatti, dalla necessità di dare risposte alle ingiustizie individuali. Non può esservi, inoltre, giustizia senza narrazione, senza racconto e comprensione della sofferenza patita.
Come primo elemento di contatto tra diritto e letteratura, nel corso dell’incontro, è stato ricordato come l’insegnamento della retorica fosse, fino a poco tempo fa, fondamentale nella formazione del giurista così come del letterato. Le tre forme di retorica teorizzate da Aristotele (forense, deliberativa e dimostrativa o epidittica) differivano solo in ragione dei diversi tipi di ascoltatori e uditori (il tribunale, l’assemblea e gli spettatori o i lettori). Fu, poi, con Quintiliano che la retorica venne concepita come arte del dire bene, identificando quindi il buon oratore con l’uomo onesto, virtuoso, non solo nella parola, ma anche nell’animo. Si nota facilmente già dall’analisi storica dell’evoluzione dell’arte retorica l’importanza della scelta della parola esatta in ogni contesto. Senza di essa, parafrasando Henry James, la vita non può essere costruita sulla verità del linguaggio.
Un altro profilo di interesse emerso durante l’incontro, che lega ancor di più la dimensione della giustizia con quella della letteratura, discende dal fatto che le più recenti ricerche di psicologia cognitiva e di antropologia affermino la natura propriamente narrativa della mente umana. Nel celebre saggio di Jonathan Gottschall, The Storytelling Animal. How Stories Make Us Human, si sostiene che l’essere umano sia fortemente dipendente dalle storie che racconta e che sente raccontare. È nella sua natura trasmettere esperienze attraverso le narrazioni. Il racconto consente di fare esperienza di emozioni altrui, interiorizzandole e illuminando aspetti del proprio sé che altrimenti rimarrebbero oscuri. Si agevola così anche la comprensione del bene e del male.
La narrazione, oltre che esprimere un bisogno umano essenziale, può dunque divenire fondamentale, consentendo una conoscenza profonda delle singole storie umane, anche per il diritto, che è chiamato a regolare la vita individuale e che per far ciò deve prestare attenzione alle vicende umane e alla peculiarità di ciascuna di esse, così da evitare generalizzazioni e meccanismi di reificazione degli individui.
Infine, la narrazione può svolgere anche un ruolo fondante in modelli di giustizia particolari, come dimostra l’esperienza della Truth and Reconciliation Commission, istituita in Sudafrica a seguito dell’apartheid. Grazie al racconto dei crimini subiti e perpetrati, a cui fece seguito un’amnistia per i responsabili dei reati commessi nel periodo della segregazione raziale che decisero di esporre davanti alla Commissione le loro responsabilità, si raggiunse l’obiettivo di una riconciliazione tra i vari gruppi etnici finalizzata alla costituzione di un nuovo tessuto sociale.