Per tanti è la risposta di moda al “cosa farai da grande?”. Per lui è l’impegno quotidiano di analizzare i fenomeni criminali, incrociare dati e costruire indici sulla criminalità. Francesco Calderoni, ventinove anni, vincitore del premio per la tesi di dottorato intestato alla memoria di Giorgio Ambrosoli, fa ricerca in ambito criminologico in largo Gemelli. Una professione di ricerca che nel mondo anglosassone è consolidata e autonoma, mentre in Italia si colloca all’intersezione tra il mondo sociologico e quello giuridico. E lui la duplice competenza se l’è costruita con una laurea in Giurisprudenza e con il dottorato internazionale in Criminologia, un percorso di formazione interamente in lingua inglese. «Volevo fare ricerca e occuparmi di questa disciplina e cercavo qualcuno che mi aiutasse a trovare quello che faceva per me. Qui ho trovato chi mi ha ascoltato». Così, insieme con il dottorato, è iniziata la collaborazione con Transcrime, il centro interuniversitario di ricerca sul crimine internazionale diretto dal professor Ernesto Savona. E dopo il conseguimento del PhD, il legame con l’ateneo prosegue anche con un assegno di ricerca presso la facoltà di Sociologia, sul tema dell’analisi delle reti della criminalità organizzata.
Oltre a tenere un modulo nel percorso Scienze della criminalità e tecnologie per la sicurezza (Crim&Tech) della laurea magistrale in Scienze sociali, Francesco è al lavoro su più fronti della criminologia. La tesi di dottorato, che è già stata pubblicata nel volume Organized Crime Legislation in the European Union, era dedicata all’analisi delle legislazioni dei 27 Paesi dell’Unione europea in fatto di criminalità organizzata. «Ho messo a confronto le legislazioni dei singoli Paesi e ho scoperto che non mancano i contrasti, a partire dalla definizione di criminalità organizzata - racconta -. Se l’Unione europea, prima di adottare la Decisione quadro relative alla lotta su questa materia per armonizzare le discipline nazionali, avesse previsto un lavoro di comparazione come il mio, forse il testo non sarebbe così criticato come è ora». I contrasti veri, semmai, sono nella definizione del fenomeno: una discrepanza che ha delle ricadute anche in termini di lotta alle mafie. Alcune legislazioni, per esempio, impediscono di ricorrere al mandato di cattura europeo. «Un vero e proprio limite - annota - che spesso nasce dalla scarsa percezione del problema in Paesi che se ne sentono esenti: la Germania, che si sentiva al riparo, dopo la strage di Duisburg ha capito che le mafie non sono più una questione solo italiana».
Su questo fenomeno Francesco ha elaborato anche un indice di presenza mafiosa. Si chiama “Mafia index” ed è composto da quattro indicatori applicati al periodo tra il 1983 e il 2008: associazioni per delinquere di stampo mafioso, omicidi di stampo mafioso, comuni sciolti per infiltrazione mafiosa e beni confiscati alla criminalità organizzata. «Incrociando questi indici ho elaborato delle mappe che indicano il grado di concentrazione mafiosa. Uno strumento utile per comprendere la diffusione della criminalità organizzata che, come dimostra la figura qui a fianco, oltre che nelle zone di tradizionale presenza, interessa da vicino anche alcune regioni del Nord». Il prossimo passo, dopo aver presentato i risultati anche alle Conferenze della Società Europea di Criminologia e della Polizia Federale Tedesca (il Bundeskriminalamt), è quello di analizzare la relazione tra il Mafia index e altre variabili, come la ricchezza di un territorio, il livello di istruzione, di disoccupazione e altri indicatori criminologici. Un lavoro certosino che dimostra che il lavoro del criminologo è tutto meno che una moda.