«La leadership oggi non è “una regola del gioco” ma il gioco stesso e non è più sufficiente che sia appannaggio di una ristretta cerchia di vertice». Un’affermazione, quella del vicepresidente vicario di Asfor Marco Vergeat (nella foto), che non nega, anzi enfatizza il bisogno di nuove leadership, soprattutto nelle aziende, alle prese con almeno tre tipi di sfide.
«Quella della complessità e quindi della difficoltà a prevedere l’evoluzione dei mercati e dei competitor, definendo strategie di successo; quella della cosiddetta “execution”, cioè la capacità di trasformare le strategie in programmi di azione effettivamente presi in carico e realizzati dall’intera organizzazione. E, infine, le sfide del “commitment” delle persone e della fiducia, messi a dura prova dal cambiamento che porta a ripensamenti, correzioni di indirizzo, modifica delle priorità: tutto ciò può disorientare le persone, demotivarle, far perdere loro fiducia nell’azienda», afferma Vergeat.
Un ruolo complesso, insomma. «Certamente, se teniamo anche presente che i leader si trovano spesso a dover gestire dei “paradossi”, fattori in contrasto, difficili “trade off”. Alcuni esempi: garantire risultati economici di breve termine e al contempo sostenibilità e competitività di lungo periodo, continuità di risultati; presidiare il miglioramento continuo dei prodotti, dei servizi, dei processi di lavoro e al contempo promuovere innovazioni più radicali, “disruptive”, che possano fare la differenza per i clienti e rispetto ai competitor. Potremmo proseguire a lungo, ma mi sembra già abbastanza».
Qualcuno dubita che, in un mondo dove tutto sembra essere reso più “democratico” dalla rete, la figura di un leader sia ancora indispensabile per guidare un’impresa o un’organizzazione. Si dice che la leadership dev’essere “diffusa”. Che ne pensa? Che tipo di leader serve oggi? «La situazione ipercompetitiva che caratterizza tutti i settori insieme all’innalzamento e alla sofisticazione delle aspettative dei clienti impone alle imprese velocità di adeguamento della loro offerta in termini di qualità, livello di servizio, innovazione. È evidente a tutti che il peso specifico di ogni ruolo e di ogni persona è sempre maggiore. L’impatto che l’operare di ciascuno ha nei processi di generazione del valore dell’impresa è elevato anche a prescindere dal peso e dall’ampiezza di responsabilità formalmente attribuita dall’organizzazione, dal livello gerarchico del ruolo».
Ci può fare un esempio? «Un operatore di call center che interagisce per l’assistenza con un centinaio di clienti al giorno può avere un grande impatto positivo sulla soddisfazione e sulla fidelizzazione dei clienti o generare grandi danni, amplificati per effetto dei social network. È per questo che da qualche anno si auspica e si persegue una “distributed leadership”: tutti devono essere orientati e capaci di contribuire affinché l’impresa possa “fare cose straordinarie” e non solo gestire bene l’ordinario. Il concetto di leadership diffusa, non rappresenta una negazione del bisogno di leadership, semmai il contrario. Mette in evidenza come la leadership oggi non sia “una regola del gioco”, ma il gioco stesso e non è più sufficiente che sia appannaggio di una ristretta cerchia di vertice».
Di quali strumenti occorre dotarsi per operare efficacemente nell’era 3.0? «A differenza di quello che spesso si crede la capacità di leadership è fortemente contestuale, cioè collegata a un ambito professionale e a una cultura organizzativa: in altri termini non è detto che un leader riconosciuto come tale in un determinato contesto ottenga il medesimo riconoscimento trovandosi altrove. Ciò premesso, l’esercizio della leadership, per essere efficace richiede un requisito fondamentale: la credibilità. Essa rappresenta un prerequisito senza il quale non vi può essere fiducia nel leader. La credibilità si basa sostanzialmente su una percezione di onestà, di integrità e di coerenza fra ciò che “si dichiara” e ciò che “si fa”. Da qui l’importanza del “dare l’esempio” (leading by example), del comportamento “non verbale”, della forza delle azioni».
Leader si nasce o si diventa? «Non solo o non sempre. Le ricerche che sono state fatte in questo campo negli ultimi trent’anni ci indicano che vi sono alcune altre caratteristiche fondamentali: il saper guardare avanti in modo positivo, costruttivo (forward looking) coinvolgendo e ispirando gli altri, l’essere stimolato dal cambiamento e il saper prendere l’iniziativa, l’avere consapevolezza di sé e dei propri valori, la capacità di ascoltare, valutare e valorizzare gli altri supportandone la crescita, la capacità di apprendere in continuo e mantenere aggiornate le proprie competenze. Credo che oggi assumano particolare importanza la capacità di valorizzare e integrare la diversità e facilitare i processi di collaborazione».
Per incominciare a ‘lavorarci sopra’ pensa possa risultare utile la formazione manageriale, così come la conosciamo? Ma soprattutto: è in grado di rispondere alle esigenze che le grandi trasformazioni fanno emergere? «Se ci riferiamo allo sviluppo della leadership necessaria a un’impresa, va detto che la formazione da sola ovviamente non basta, si tratta di allineare e far funzionare in modo sinergico diversi fattori. Per esempio la valutazione delle performance e delle persone affinché in tutti i ruoli “chiave” e di maggiore responsabilità operino le persone dotate delle qualità di leadership ritenute importanti. Questo è fondamentale perché chi esercita una leadership efficace tende a diffonderla (“leaders building leaders”) giungendo ad influenzare la cultura dell’organizzazione. Tuttavia la formazione è importante e credo debba sempre più evolvere verso modalità di action learning, verso soluzioni di apprendimento capaci di riprodurre la complessità del reale e di integrare dimensioni cognitive, operative, sociali ed emotive. Quindi non “corsi”, ma vere e proprie esperienze di leadership in azione».
Un’ultima domanda. Anche il Papa è recentemente intervenuto sul tema del ruolo delle donne nel mondo del lavoro. Quale contributo le donne possono dare alla cultura della leadership? «Il numero di donne che esercitano ruoli di responsabilità nelle imprese anche a livelli di vertice è progressivamente aumentato negli ultimi vent’anni e continua a crescere in tutti i settori. Tuttavia in Italia il 47,2% della forza lavoro è composto da donne, che però occupano solo il 10% delle posizioni di top management. La diversità di genere è una conquista e una ricchezza che potrebbe essere valorizzata assai meglio se l’organizzazione del lavoro, i servizi alle famiglie ed anche una certa cultura del ruolo paterno e maschile evolvessero nella direzione di consentire alle donne di conciliare un po’ meglio il ruolo professionale con quello materno. Credo che le donne possano portare alla cultura della leadership molti contributi soprattutto sul fronte della valorizzazione della diversità, dei processi di integrazione e collaborazione, della capacità di ascolto e valorizzazione dell’altro, dell’empatia».