di Mariagrazia Fanchi *
Per chi studia i media il rapporto fra racconto, memoria e vita, o esperienza di vita, è uno snodo chiave. Non ci può essere esperienza senza racconto e il racconto, che oggi passa quasi esclusivamente attraverso i media, è un potente strumento attraverso cui prende forma la memoria: quella individuale, che ciascuno di noi costruisce, sempre e comunque nel rapporto con l’altro (si racconta e ci si racconta in relazione a chi ci sta ascoltando e al momento e al contesto in cui ci si trova). Quella collettiva a sua volta elaborata in dialogo con il presente, le sue esigenze e le sue sfide.
La memoria rappresenta lo strumento principale attraverso il quale diamo senso a quanto ci accade e persino progettiamo il futuro. In questo processo i media assumono un ruolo decisivo.
André Lange ne parlava già negli anni Ottanta come delle “nuove istituzioni memoriali”, che avevano sostituito le biblioteche, gli archivi, i musei come strumenti di formazione, di conservazione e di espressione della memoria e quindi dell’identità collettiva.
Di più ancora possiamo pensare oggi ai media come dispositivi di memoria e come dispositivi di identità da quattro punti di vista. Lo sono, in prima istanza, perché danno forma alla memoria sociale: attraverso i loro linguaggi, con il loro modo di rappresentare e di raccontare. Mediano, appunto; mettono in forma il passato, facendolo parlare con il linguaggio del presente e trasformandolo in un potente collante sociale.
Macchine della memoria e macchine dell’esperienza, i media servono anche per fissare i momenti di “rimemorazione”, per attivare quel processo di condivisione che è ciò che consente di trasformare la memoria da repertorio cristallizzato di conoscenze e saperi a materia viva che alimenta il presente e che orienta e guida verso il futuro.
Pensiamo al ruolo che recentemente i media hanno avuto nella condivisione e nella riattualizzazione della memoria degli eventi di Piazza Fontana. I media poi sono archivi, accessibili, potenzialmente ovunque e da chiunque.
La digitalizzazione in questo ha amplificato la capacità degli apparati di comunicazione di diventare le nuove biblioteche, deposito a cui attingere per confermare la tradizione, ma anche per costruire nuove memorie (la pratica diffusa fra i media del found footage, che consiste nel legare frammenti di immagini passate e presenti, costruendo nuovi racconti, spesso anacronistici o portatori di una nuova temporalità storica).
Infine i media sono delle meta-macchine, che rendono evidente il processo dinamico, di decostruzione e di ricostruzione, che presiede alla generazione della memoria, sia essa individuale, sociale o collettiva. Materia dinamica, duttile: manipolabile, per un verso, ma per un altro, come il tema che Papa Francesco ha scelto per la 54° Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali “Perché tu possa raccontare e fissare nella memoria” (Es 10,2). La vita si fa storia, anche generativa capace di dare forza e di dare vita al passato e al presente e di costituire un formidabile strumento di confronto, di dialogo e di accettazione.
* direttrice Alta Scuola in Media, comunicazione e spettacolo (Almed)