di Giovanni Valtolina *
“Migranti minorenni, vulnerabili e senza voce” è il tema scelto da Papa Francesco per la Giornata mondiale dei migranti che verrà celebrata domenica 15 gennaio. “I migranti minori sono tre volte indifesi - dice il Papa - perché minori, perché stranieri e perché inermi, quando, per varie ragioni, sono forzati a vivere lontani dalla loro terra d'origine e separati dagli affetti familiari".
La sfida della migrazione
Di fronte ai ragazzi stranieri che migrano si pongono diverse questioni. La prima sfida riguarda il terreno dell’equilibrio psichico, in termini di integrità, nella percezione della propria identità: il minore migrante, come tutti coloro che si trovano a vivere quotidianamente in contesti culturali differenti da quelli d’origine, presenta aspetti diversi di sé a seconda dei contesti e degli interlocutori con cui deve interagire.
Dunque, la sfida sarà, soprattutto se appena giunto nel paese che lo ospita, non soltanto quella di conservare un sentimento di integrità, ma anche quella di riuscire a considerare in continuità le diverse possibilità di espressione di sé, operando traduzioni e comparazioni tra codici culturali diversi.
Disagio, sofferenza e vulnerabilità
Nel faticoso percorso di definizione della propria identità da parte del minore migrante, si possono individuare tre elementi, tra loro strettamente correlati, che contribuiscono ad alimentarne la vulnerabilità e il possibile disagio.
Innanzitutto il minore migrante, nella quasi totalità dei casi, è reso partecipe di un progetto “imposto” e incerto. Negli ultimi anni, i grandi flussi migratori che hanno interessato l’Europa hanno subito notevoli cambiamenti. Soprattutto oggi essi paiono dipendere prevalentemente da fattori d’espulsione, presenti nei Paesi d’origine, piuttosto che da fattori d’attrazione presenti in quelli d’arrivo: si emigra per scappare, più che per raggiungere una specifica meta, e spesso si è costretti a soggiornare in diversi Paesi di transito prima di stabilizzare la propria presenza.
D’altra parte non sempre il Paese d’accoglienza riesce o è disposto ad offrire opportunità al migrante, negando di fatto un reale percorso d’inserimento. Spesso si verifica uno scarto tra le aspettative che ha il migrante - anche minore - e la reale possibilità che si realizzino, con conseguenze spesso traumatiche. La migrazione è, quindi, un evento fortemente segnato dal rischio, che acutizza la vulnerabilità di ciascun migrante.
Un secondo elemento che rende la condizione del minore migrante ancor più faticosa è il fatto che le diverse proposte identitarie con cui egli entra in contatto nel corso del processo di socializzazione tendono a scontrarsi e a sovrapporsi con un impatto violento, quasi mai mediato. Ciò dipende dal fatto che spesso le distanze culturali sono maggiori di quelle geografiche e dall’inadeguatezza delle società d’accoglienza a prevedere specifiche iniziative volte a valorizzare le specificità proprie delle identità etniche.
Un terzo elemento di sofferenza è costituito dal fatto che il minore si trova a dover costruire la propria identità in una società in cui si tiene scarsamente conto della sua presenza e dei suoi interessi e dove le prospettive di integrazione sono tutt’altro che esplicite e univoche. Di fatto egli è una presenza "invisibile" dal punto di vista dei diritti, per poi divenire "eccessivamente visibile" per la lingua che parla, per il colore della propria pelle, per i valori che sceglie.
L’etnicità
Un tema delicato rispetto all’integrazione dei minori migranti è il concetto di “etnicità” che esprime sia una dimensione biologica, cioè un insieme di fattori che si trasmettono per via ereditaria (tratti somatici, pigmentazione dell’epidermide, ecc.), sia una dimensione sociale di valore equivalente, cioè il complesso delle esperienze legate alla tradizione storica e culturale di una specifica comunità, con un’attenzione particolare alla lingua. Ma, affinché si possa parlare realmente di etnicità, è necessario che vengano attuate pratiche e realizzate strutture sociali, distinte e differenti da quelle di altri gruppi etnici o nazionali, e da questi riconosciute come tali.
Appare ambiguo il rapporto con il Paese d’origine - luogo dove la famiglia vuole tornare e dove spesso vivono i parenti, ma anche da dove i genitori sono dovuti andar via - e col Paese d’arrivo - il luogo dove si diviene stranieri, ma anche quello in cui è possibile un processo di emancipazione -. Così, accanto a un’identità etnica originaria, la famiglia immigrata trasmette ai propri figli queste aspettative, che influenzano significativamente la formazione dell’identità.
Diversità culturale dei contesti di origine e di accoglienza
Il mondo extrafamiliare, cioè il contesto caratterizzato da una profonda diversità culturale da quello della propria origine, in cui è immersa la famiglia migrante, viene percepito dai minori stranieri, per un verso come un ambiente pericoloso e persecutorio e, d’altra parte, come carico di fascino e d’attrazione. Tale scoperta innesca in genere un acceso conflitto tra contesto sociale e famiglia.
In molti Paesi del sud del mondo, ad esempio, l’adolescenza, come momento di passaggio in funzione dell’inserimento nella "società adulta", ha una durata assai breve, mentre è assai più lunga nelle società occidentali. Il minore si trova a dover vivere in due mondi in cui la sua età viene considerata in modo assai differente, con la conseguenza che, a seconda dell’ambiente in cui vive, è costretto ad assumere atteggiamenti o ad avere aspettative molto diverse e spesso anche in netta contrapposizione.
*docente di Psicologia dello sviluppo interculturale in Università Cattolica