«Al primo posto ci deve essere il principio che il lavoro si paga, non come me che ho fatto anni di stage non retribuiti. Basta co.co.pro e simili. Lotta all'illegalità e allo sfruttamento dei giovani». A parlare è un giovane intervistato da una recentissima ricerca Ipsos, condotta nel febbraio di quest'anno su commissione di Ad Hoc communication, presentata in largo Gemelli a Milano da Nando Pagnoncelli lo scorso 4 aprile nel convegno Scenari futuri di welfare. Un tema al cuore anche della 89esima Giornata Universitaria dell'Università Cattolica dedicata a Le nuove generazioni oltre la crisi.
L'indagine ha messo a confronto gli italiani forse più colpiti dalla crisi e dalle carenze del nostro sistema di welfare: la generazione dei 25-35enni e quella dei 50-60enni. «La prima - commenta Pagnoncelli - dovrebbe rappresentare un momento di svolta per l'individuo, dal punto di vista professionale e personale: è il periodo in cui si entra nel mondo del lavoro e si inizia a costruire la propria famiglia». D'altra parte, i 50-60enni sono i genitori di questi giovani e costituiscono una categoria che si trova più facilmente a cedere parte delle proprie tutele nel caso di riorganizzazioni del sistema di welfare, come è già accaduto per l'ultima riforma delle pensioni.
Queste due categorie, indagate attraverso un campione altamente rappresentativo - costituito da giovani lavoratori dipendenti, autonomi, precari o con contratti a partita iva, disoccupati e, dall'altro lato, da genitori con figli a carico e con figli non più conviventi - sono state sollecitate a rispondere ad alcuni quesiti particolarmente "caldi" in tema di politiche sociali. «Il dato forse più impressionante - secondo Pagnoncelli - è che il lavoro viene concepito da tutti come il problema centrale, non solo per le necessità concrete, ma come espressione dell'identità e della dignità personale». Strettamente connessa a questo dato è la sfiducia emersa nel sistema di welfare italiano, percepito da entrambe le parti come iniquo, poco efficace e carente in alcuni aspetti che sono considerati fondamentali. Il 77% dei giovani e il 72% dei 50-60enni ha individuato nei servizi volti a favorire l'occupazione, a fornire il sostegno al reddito e gli aiuti per la prima casa, il settore in cui lo Stato dovrebbe investire la maggior quantità di risorse.
Il confronto tra le generazioni è così tutto a favore dei padri, che sembrano aver goduto di vantaggi oggi impensabili per le nuove generazioni. Tuttavia, il 67% di giovani considera l'ipotesi di ridurre le risorse destinate ai genitori un'eventualità non accettabile, perché sottrarrebbe indirettamente loro un'altra forma di sostegno. La pensione dei padri, infatti, è una risorsa anche per i giovani e attualmente la famiglia è di fatto il principale ammortizzatore sociale.
«Per noi, tutto bene finché ci sono mamma e papà, ma poi?»: si chiedono i figli totalmente sfiduciati nella possibilità di averne una un giorno: «La stessa parola, ha affermato un intervistato, «possiamo pure toglierla dal nostro vocabolario». Anche la via di un fondo integrativo è considerata una chimera dal 41% dei giovani, ma anche dal 42% degli genitori. Un clima generale, che vede sostanzialmente sempre in sintonia i 25-35enni con i 50-60enni nella sfiducia verso le politiche sociali italiane, il sistema di welfare attuale e le istituzioni che si dovrebbero occupare di riformarlo. E pensare che un clima simile è emerso prima di sapere l'esito delle elezioni politiche, che hanno prodotto una precarietà istituzionale ancora maggiore.
In questo contesto l'unica soluzione è, secondo Alessandro Rosina, docente di Demografia nella facoltà di Economia, rilanciare un nuovo modello di welfare, che non sia più concepito semplicemente come un sistema di sussidio, ma anche di sviluppo: «Serve un welfare delle tre "p": prevenzione, protezione, promozione», che, come ribadisce anche Ettore Gotti Tedeschi, presidente di Santander Italia, sia «in stretta relazione con la crescita del Pil». Dello stesso avviso è Antonio Mastrapasqua, presidente dell'Inps, secondo cui una riforma delle politiche sociali è senz'altro auspicabile, purché non si riduca ancora una volta in una riforma delle pensioni, che sarebbe l'ottava dal 1992. «Serve un ripensamento globale e lungimirante - afferma -, che tenga presente la domanda dei giovani di uno stato che gli stia vicino e che li possa aiutare». Ma dove trovare le risorse? Carlo Salvatori, presidente di Allianz, sponsorizza «un patto inedito del pubblico con il privato», considerata l'assoluta incapacità dello Stato italiano a gestire da solo il sistema di welfare. Meglio per Carlo dell'Aringa una sorta di «sistema misto» tra pubblico e privato. Insomma: le risorse, volendo, si trovano e gli obiettivi ormai sembrano essere chiari. «Ciò che importa ora - rilancia Rosina - è fare una scelta chiara, perché non ci possiamo più permettere di essere ipocriti con i nostri giovani».