La nuova disciplina disegnata dal Jobs Act lascia aperto il dubbio che, lungi dall’incentivare le imprese alle assunzioni, possa tradursi nel rischio di una minor tutela dei lavoratori, con particolare riferimento a quelle categorie già di per sé identificate come “deboli”, e in un ruolo del Giudice sempre più relegato a bocca della legge. Questo in sintesi il messaggio emerso dal dibattito organizzato dal Centro di Diritto del lavoro (Cedri) a poche ore dall’approvazione dei primi due decreti attuativi della riforma del lavoro del governo Renzi, quello sul contratto a tutele crescenti e quello sulla nuova riforma degli ammortizzatori sociali (Aspi).
Il primo verrà a sostituire definitivamente la disciplina precedentemente in vigore, di modo che la reintegra nel posto di lavoro verrà d’ora in poi assicurata solo a coloro che, assunti prima del marzo 2015, non cambino lavoro in futuro, come ha spiegato, nell’introduzione al seminario ospitato dall’Università Cattolica il 23 febbraio, il direttore del Centro di Diritto del lavoro Vincenzo Ferrante. Secondo il giuslavorista dell’ateneo, «il decreto del 20 febbraio scorso viene inspiegabilmente ad abrogare lo speciale rito processuale che aveva consentito alla Cassazione di pronunziarsi a meno di due anni dall’inizio della controversia (con ritmi superiori agli altri paesi europei)». Inoltre, per Ferrante, «l’intervento del governo viene, di fatto, ad abrogare la legge Biagi, che aveva costituito nell’ultimo decennio il modello su cui misurare ogni azione di riforma».
Sul tema sono intervenuti gli avvocati del Foro di Milano Aldo Guariso e Fabrizio Daverio, per offrire spunti di riflessione sugli aspetti più operativi della nuova disciplina. La giuslavorista della Cattolica Antonella Occhino si è concentrata sul rischio che una disciplina differenziata dia luogo a discriminazioni fra i lavoratori. Giulia Dossi, della Sezione Lavoro del Tribunale di Milano, ha illustrato quella che potrebbe essere una possibile applicazione pratica delle disposizioni contenute nella riforma, così da superare i tanti nodi critici lasciati aperti e da ricondurne il contenuto a un sistema più rispettoso dei valori della Costituzione.
Se con il nuovo contratto introdotto dal Jobs Act si dovrebbe ridurre la precarietà, bisogna capire come tutelare chi si trova a perdere il posto di lavoro. Uno dei modelli a cui fare riferimento è quello tedesco, di cui ha parlato Matteo Corti, docente di Diritto del lavoro in Cattolica, con particolare riferimento alla positiva esperienza del sistema degli ammortizzatori sociali, caratterizzato dalla garanzia di una continuità assistenziale. Chi non risulti beneficiario, per carenza di requisiti, delle due tipologie di sussidio di disoccupazione (Arbeitslosengeld I e II) può richiedere il sostegno del Job Center, che eroga prestazioni per ciascun componente del nucleo familiare al fine di garantire i mezzi finanziari minimi a chi è alla ricerca di un’occupazione.