di Luciano Pazzaglia *
Il nostro colloquio vuole essere, innanzi tutto, un omaggio a Giuseppe Lazzati, in occasione del centenario della sua nascita. Tale omaggio è tanto più doveroso nella sede dell’Università Cattolica che egli ha portato sempre nel cuore. Ma il nostro incontro vuole anche fare memoria di quello che egli è stato e sollecitarci a riflettere sul suo insegnamento per capire se e in che misura esso può aiutarci ad affrontare i problemi del nostro tempo.
Non è, certo, il caso di ripercorrere qui l’itinerario che lo condusse dalle responsabilità di dirigente della Gioventù di Azione Cattolica alla partecipazione ai lavori dell’Assemblea Costituente, dall’impegno nella politica attiva alla direzione de «L’Italia», fino alla guida dell’Ateneo dei cattolici italiani. Considerata la sede in cui si svolge il colloquio, un momento di riflessione meriterebbe, semmai, la sua opera di rettore, nella quale la biografia spirituale e intellettuale di Lazzati ha toccato uno dei suoi momenti più alti: «Il Lazzati rettore – ha testimoniato Gustavo Bontadini – è il vertice di Lazzati, la pienezza di Lazzati perché lì ha portato tutto se stesso, le sue doti, la sua virtù, tutta la sua pietà, tutta la sua clemenza e il senso della cultura che aveva». Mi auguro che, nei tempi e nei luoghi appropriati, si possa tornare a studiare il suo rettorato con animo sereno e di là dai pregiudizi di parte con cui è stato talvolta accostato. Personalmente ritengo che Lazzati sia stato il secondo fondatore del nostro ateneo, così come sono persuaso che non pochi aspetti del suo pensiero, messo per altro a punto in continuità con alcune intuizioni di Ezio Franceschini che per primo parlò di un’università del Concilio, siano ancora davanti a noi e continuino a interpellarci.
Il Comitato organizzatore per le celebrazioni del centenario di Lazzati ha domandato all’Archivio per la storia dell’educazione in Italia, e l’Archivio è stato ben lieto di aderire alla richiesta, di dedicare l’incontro odierno al tema Coscienza cristiana e rinascita democratica: l’impegno educativo di Lazzati. La scelta di tale argomento è facilmente spiegabile. Lazzati non era né un pedagogista né un educatore di professione; era semmai, come talvolta amava professarsi, «uomo di scuola». Non c’è dubbio, tuttavia, che egli avesse una forte, profonda vocazione educativa. Tutti ricordano le parole con le quali il 20 maggio 1986, durante le esequie di Lazzati, il cardinal Martini presentava la sua opera come animata da un «carisma straordinario»: il carisma dell’educatore di coscienze giovanili. Di Lazzati mi ha, ad esempio, sempre colpito la capacità che egli aveva di avviare con le persone e con i giovani rapporti di grande intensità umana e, al tempo stesso, di totale rispetto per il libero e personale maturare dei loro orientamenti. Ma non è della relazione educativa perseguita da Lazzati in generale che dobbiamo qui occuparci. Il Comitato organizzatore ci ha chiesto che analizziamo il suo impegno educativo nel momento in cui, attraverso eventi eccezionali come il crollo del fascismo, la guerra di liberazione, l’elezione dell’Assemblea Costituente, l’avvio della vita democratica, furono poste le basi dell’Italia repubblicana. Lazzati svolse allora un ruolo di grande significato. In quest’ottica abbiamo pensato di programmare il nostro incontro attorno ad alcuni temi centrali: il contesto storico, culturale e religioso degli ultimi anni di guerra nel corso dei quali Lazzati venne elaborando le sue scelte; la deportazione in Germania; il confronto con Maritain; la partecipazione alla Costituente e l’esperienza di “Cronache sociali”.
Lazzati, come sappiamo, arrivò relativamente tardi alla scoperta del rilievo e dell’importanza della vita politica. Per tutti gli anni ’30 il suo impegno fu, infatti, dedicato all’opera di formazione religiosa dei giovani della Giac, anche se, nel quadro della forte connotazione religiosa impressa da Pio XI all’Azione Cattolica nazionale e fedelmente applicata dal cardinal Schuster all’Azione Cattolica ambrosiana, egli fu condotto ad assumere alcune idee sulle quali vale la pena di soffermare l’attenzione: l’idea che l’adesione alla verità dovesse essere innanzi tutto interiore, l’idea che la Chiesa e le sue organizzazioni fossero chiamate primariamente a rendere testimonianza dei principi e dei valori del cristianesimo, l’idea che, pur abbracciando la fede tutti gli aspetti della vita, l’azione religiosa fosse da tenere distinta dall’azione politica. Per il momento queste idee erano elaborate in una prospettiva ancora interna alla Chiesa, ma esse si annunciavano dense di significativi sviluppi. Del resto, già alla fine degli anni ’30, Lazzati mostrava come, in lui, stessero emergendo nuove esigenze. Nel 1939, l’anno in cui avrebbe avviato il suo sodalizio «Milites Christi», egli scriveva, infatti, per «Gioventù italica» un interessante articolo dove affermava la necessità che i cattolici riuscissero a scrollarsi di dosso l’accusa, a suo avviso non del tutto infondata, di proporre un cristianesimo avulso dalla realtà sociale. Era dunque naturale che, nei primi anni ’40, egli accettasse di partecipare alle cosiddette riunioni di casa Padovani dove alcuni professori dell’Università Cattolica presero a riflettere sul futuro del paese all’indomani della guerra. Per poter meglio cogliere il progressivo aprirsi di Lazzati alle tematiche sociali abbiamo chiesto ad Agostino Giovagnoli d’illustrare lo sfondo in cui le riunioni di casa Padovani si svolsero, con particolare riguardo ai radiomessaggi tenuti nel Natale del 1941 e del 1942 da Pio XII, che tanta importanza avrebbero avuto per la coscienza dei cattolici italiani.
Com’è noto, di lì a poco la vita di Lazzati avrebbe subito una tragica svolta, poiché il 9 settembre del 1943, essendosi rifiutato di aderire alla Repubblica sociale di Salò, venne fatto prigioniero e deportato in Germania. Grazie alla ricca biografia lazzatiana di Marcello Malpensa e Alessandro Parola e alle testimonianze che vanno aggiungendosi a quelle già note, noi sappiamo che il suo rifiuto non fu dettato da un impulso emotivo del momento, ma era frutto di una profonda riflessione che per altro egli ebbe modo di affinare nelle baracche dei campi di concentramento, dove, essendogli stata offerta - su intervento di Gemelli - l’opportunità di rientrare in patria, decise di restare a fianco degli altri prigionieri. Quella della prigionia fu un’esperienza drammatica. Essa servì tuttavia a Lazzati per imprimere al suo impegno religioso uno sforzo di essenzializzazione e per intraprendere con i suoi compagni una vera e propria forma di resistenza attraverso la promozione di un insieme di attività – corsi di lezioni, conferenze, discussioni - che, mentre aiutavano a tener desto il pensiero e a sollevare la dignità personale, favorivano importanti forme di confronto e di dialogo fra uomini di diversa provenienza. Da quella esperienza Lazzati avrebbe tratto preziosi insegnamenti, tra cui la ferma persuasione che il popolo cattolico abbisognasse di un nuovo tipo di educazione, religiosa e civile: un’educazione che facesse pensare, un’educazione che permettesse di trasformare le idee ricevute in convinzioni riflesse, un’educazione che aiutasse a vivere la fede in stretta connessione con i propri comportamenti interiori e con il proprio agire sociale. Marcello Malpensa ci aiuterà ad approfondire l’itinerario di Lazzati in quei mesi di dure sofferenze e di intense meditazioni.
Conclusasi la guerra e rientrato in patria, Lazzati riprese la sua attività di professore e studioso, ma, in linea con quanto aveva maturato fin dagli anni ’40 in casa Padovani e con le conclusioni cui era pervenuto durante la prigionia, egli pensò, insieme con gli amici riuniti attorno a Giuseppe Dossetti, di promuovere un’opera di formazione che aiutasse i cattolici a colmare la loro impreparazione nell’ affrontare la politica. Nel ricordare più tardi quel momento, Lazzati avrebbe scritto: « Sembrava, dunque, necessità primaria una volta riconquistata la libertà, lavorare per creare nei cattolici conoscenza e coscienza di che cosa significhi pensare e agire politicamente e della primarietà di tale impegno per il cristiano laico. Per questo si era pensato a un servizio culturale quanto più possibile valido nelle sue impostazioni ed esteso nella sua presenza nel Paese. E al servizio si voleva dare un nome espressivo (anche se latino!): “Civitas humana”». Ma, com’è noto, le cose andarono diversamente e anche Lazzati fu trascinato, suo malgrado, nella politica attiva tanto da risultare eletto, nelle file della Democrazia Cristiana, dapprima deputato alla Costituente e poi, con le elezioni indette per la prima legislatura repubblicana, deputato alla Camera dei Deputati. Tuttavia, anche durante gli anni dell’impegno politico, egli, pur seguendo con viva partecipazione la stesura della Carta costituzionale e l’attività parlamentare, continuò a svolgere un lavoro di carattere prevalentemente formativo, occupandosi in via prevalente dell’opera di formazione svolta da «Civitas humana » e scrivendo per « Cronache sociali», la rivista cui faceva capo il gruppo dossettiano. Sulla rivista, nel novembre del 1948 egli pubblicava l’articolo dal titolo Azione cattolica e azione politica, diventato ben presto famoso, dove, sulla scorta di Maritain, teorizzava la distinzione tra agire da cristiano e agire in quanto cristiano, dalla quale avrebbero attinto numerosi fedeli laici impegnati nella vita politica. Abbiamo chiesto ai colleghi Guido Formigoni e Alberto Melloni di chiarire questi importanti passaggi.
Ma Lazzati non avrebbe dismesso la sua divisa di formatore neppure quando, al termine della prima legislatura, decise di ritirarsi dalla politica attiva. Possiamo senz’altro dire che egli portò il suo carisma educativo in tutte le attività nelle quali venne coinvolto. In occasione del convegno indetto la settimana scorsa dalla sezione lombarda dall’Unione Cattolica della stampa italiana, Marta Margotti ha fatto vedere come Lazzati riuscisse a restare fedele alla sua vocazione di educatore anche nell’esercizio dell’attività di direttore de «L’Italia», in particolare attraverso quel serrato e denso confronto che egli venne intessendo con i lettori. Ma a maggiore ragione egli sarebbe rimasto fedele a quella vocazione quando fu chiamato alla guida dell’Università Cattolica dove, pur affermando il primato della ricerca scientifica, cercò, anche attraverso l’introduzione di nuovi strumenti, di fare in modo che il corpo docente partecipasse coralmente alla formazione di fedeli laici seriamente impegnati nelle professioni e nella società, oltre che nella vita della Chiesa.
Non dimentichiamo, d’altra parte, il grande evento del Concilio che aveva dichiarato essere proprio dei fedeli laici trattare le realtà terrene ordinandole secondo Dio. Lazzati, che da tempo aveva anticipato quelle idee e che in esse comunque si era immedesimato, non perse occasione per concorrere alla loro diffusione girando in lungo e in largo per il paese e recando la sua parola anche nelle più sperdute comunità cristiane. Questo impegno educativo era, anzi, destinato a crescere propria nella misura in cui doveva constatare il progressivo allargarsi dello iato tra le esaltanti responsabilità cui i fedeli laici erano chiamati dalle nuove prospettive conciliari e la povertà di idee e di comportamenti con cui, sotto l’incombere della mentalità diffusa, i cristiani erano portati a vivere la loro esperienza sociale e politica. Non deve pertanto sorprendere che, al termine del suo mandato di rettore, egli decidesse, insieme con un gruppo di amici, di dar vita all’associazione «Città dell’uomo» con la quale, riprendendo anche nel titolo l’antico disegno di «Civitas humana», impegnava gli ultimi anni della sua esistenza nel promuovere, ancora una volta, un’opera di formazione che conducesse i cristiani a pensare politicamente. All’approfondimento di quest’ultima attività di Lazzati abbiamo voluto dedicare la tavola rotonda presieduta da Franco Pizzolato e arricchita dagli interventi di Franco Monaco, Marta Margotti, Alessandro Parola. Essi ci aiuteranno a capire la pregnanza del pensiero di Lazzati in un momento in cui la costruzione della città dell’uomo si fa, per altro, ogni giorno più difficile. Per parte mia sono portato a credere che la lezione di Lazzati conservi su più punti una sua attualità e che, nonostante il prodursi di fatti come la marginalizzazione dei laici in una chiesa sempre più gerarchica, la fine della presenza organizzata dei cattolici, l’imbarbarimento della lotta politica, alcune delle sue idee possano ancora servire a illuminare la strada.
* direttore dell’ Archivio per la Storia dell’Educazione in Italia. Il testo pubblicato è il discorso di apertura del convegno tenuto dal professore di Storia della pedagogia