Sono state le prime a sentire che c’era da aggiustare il tiro. Le ragazze del Paolo VI, la struttura femminile della sede milanese che ospita quasi 130 studentesse, hanno cominciato già lo scorso anno a scorgere qualche ruga sul volto dell’esperienza collegiale: l’introduzione del 3+2 e l’alto numero di esami previsti dai piani di studio hanno condizionato la vita in collegio, rendendo più concreto il rischio di trasformarla in una pura scelta abitativa, priva dei vantaggi dell’appartamento ma anche dell’opportunità di crescita personale che la vita comunitaria e la proposta educativa possono offrire. «Per esempio i ludi, le manifestazioni goliardiche, sono ancora organizzati secondo lo schema delle lauree quadriennali - spiegano le ragazze del collegio -. Oggi non hanno più molto senso, perché ci troviamo a che fare con delle matricole che sono tali solo per il collegio, mentre magari frequentano già una specialistica e hanno alle spalle una laurea triennale in un’altra università». È nato da queste esigenze “Portrait”, un acrostico che, nel “ritrarre” il profilo del collegiale responsabile e consapevole, intendeva rendere attuali i valori del Progetto formativo dei collegi.
Matricola day all’inizio d’anno, con tour del collegio e visita dei luoghi culturali di Milano, tanto per cominciare. Poi un week end a Desenzano, per meditare sulle risorse e sui limiti della vita comunitaria, aiutate dall’assistente ecclesiastico generale monsignor Sergio Lanza e dalla psicologa Manuela Tomisich. Una riflessione che le ha portate a scoprire il doppio significato della parola “comunità”: in quanto “cum moenia”, sta a indicare le mura della città, che insieme definiscono e strutturano l’identità di chi ci vive, ma pongono necessariamente dei limiti e delle regole necessari per vivere insieme (che forse è quello che superficialmente fa optare molti giovani per la scelta dell’appartamento). In quanto “cum munus” (dono), la vita comunitaria chiede che, oltre a divenire consapevoli del senso della regola, si sia disposti a regalarsi reciprocamente qualcosa, cioè a costruire relazioni basate sulla fiducia.
La convivenza funziona se si diventa consapevoli che l’incontro e lo scontro con gli altri producono valore: nessuno si nasconde che vivere gomito a gomito può produrre anche conflitto. Non bisogna spaventarsi ma gestirlo, perché è la via per fare emergere ed esprimere le diversità e la novità. Le ragazze del Paolo VI, nei laboratori del progetto Portrait, lo hanno sperimentato. Ma lo verificano ogni giorno, consapevoli che il collegio non è un luogo protetto dal mondo, ma una palestra in cui si impara a distinguere i problemi dalle persone, a concentrarsi sugli obiettivi piuttosto che sulle posizioni, a riconoscere le differenze autorizzandosi a essere creativi. Insomma, a vivere la bellezza e la fatica di convivere.