Tanja Sekulić è una sociologa bosniaca e insegna all’Università Bicocca di Milano. Martedì mattina, su invito di Giorgio Del Zanna, docente di Storia contemporanea e Storia dell’Europa orientale, è venuta in Università Cattolica a raccontare la sua “Sarajevo vent’anni dopo”. Una lezione aperta, svoltasi in aula G120 davanti ad una platea di giovani studenti. Tema dell'incontro: spiegare le cause scatenanti del conflitto serbo-bosniaco, il più sanguinoso su suolo europeo dai tempi della seconda guerra mondiale.
La professoressa Sekulić è partita dal nostalgico ricordo della Sarajevo di vent’anni fa: una città dove i rintocchi delle campane si accompagnavano con naturalezza ai canti dei muezzin, una città tollerante e liberale in cui musulmani, ortodossi e cattolici convivevano senza problemi e stringevano sinceri legami d'amicizia. «La guerra ci è letteralmente piovuta addosso - ricorda la Sekulić - C'è una caricatura del più famoso vignettista bosniaco che mostra un uomo, seduto comodamente davanti al televisore, che osserva in televisione immagini di guerra mentre una bomba cade sul tetto della sua casa. Ecco, questo è stato il nostro impatto con il conflitto: nessuno in città se lo aspettava». La professoressa, che già dal 1990 si era recata in Italia per motivi di studio, non ha più fatto stabile ritorno in Bosnia; come lei si sono comportati tanti altri giovani bosniaci di buona famiglia e belle speranze. Si stima che circa 500mila persone se ne andarono dalla Bosnia privandola di menti capaci di farla ripartire: in tempi in cui in Italia si parla tanto di "fuga di cervelli", è forse opportuno ricordare che c'è chi ne ha passate di molto peggiori rispetto a noi. Tanja Sekulić, dall’Italia, continua comunque a lavorare per il suo Paese, occupandosi di costruzione delle identità collettive, processi d'integrazione e conflitti etnici.
Agli studenti della Cattolica ha portato soprattutto la sua testimonianza, che coniuga amor patrio e approccio filosofico, commozione e sguardo scientifico. «Ricordo ancora quando i miei compagni di studi, di famiglia musulmana, ebrea o ortodossa, assistevano con gioia alla messa di Natale: erano affascinati da questo rito dal punto di vista culturale, i cori e le celebrazioni li attraevano». Piccoli flash, immagini che messe insieme formano il mosaico di un luogo dove tutto era vario ma ben amalgamato. Poi una minoranza di nazionalisti e assassini è riuscita ad avere il sopravvento sulla civiltà e sulla pacifica convivenza: «Sulla guerra pesano le colpe di molti: dai nostri leader politici alla comunità internazionale che ha iniziato ad occuparsi seriamente della Bosnia e di Sarajevo dopo quattro anni di assedio. Ma anche noi abbiamo le nostre responsabilità: è stato il popolo a sottovalutare i rischi che si correvano e a consentire che una tale tragedia potesse verificarsi».
Al termine, Stefano Pasta della comunità di Sant’Egidio, ex studente della Cattolica e ora giornalista per Famiglia Cristiana, ha ricordato l’iniziativa Sarajevo 2012: il grande incontro internazionale per la pace organizzato per il prossimo settembre, proprio a Sarajevo.