Un libro silenzioso, che parla solo con le immagini, per comunicare con i bambini profughi a Lampedusa. Sarà questo lo strumento principale con cui una équipe di psicologhe dell’Università Cattolica lavorerà per l’integrazione dei piccoli immigrati sbarcati nell’isola siciliana. L’autrice della fiaba Il topolino rosa si chiama Dina Dasoki, designer in comunicazione visiva, diplomata del master in “Relazione d’aiuto in contesti di sviluppo e cooperazione nazionale e internazionale” dell’Università Cattolica. Che racconta come è nata la sua idea.
«Cinque fogli bianchi, due colori, un gesto che danza nell’aria alla ricerca dell’improvviso. Poi un gesto spontaneo, un cerchio, una riga, la prima cosa che ci viene in mente, una parola e un segno che nasce nell’erba per entrare sulla superficie del foglio. E da qui sono nati un topo rosa, una casa, un sole, un bivio con una strada rosa e una gialla e un amico strano. E la mia storia era lì. Dall’improvvisazione. Da un racconto che già era dentro di me, che mi portavo dentro». Questa fiaba illustrata “parlerà” ai bambini accolti a Lampedusa nell’ambito del progetto “Laboratori narrativo espressivi per i minori a Lampedusa”, promosso dall’Unità di ricerca sulla resilienza e dal Centro di Ateneo per la solidarietà internazionale dal 15 al 22 novembre.
Un silent book fatto solo di immagini proprio per parlare con un linguaggio universale a bambini che hanno bisogno di integrazione ma non conoscono la nostra lingua. «La storia la racconterà l’adulto o il bambino, basandosi sulle illustrazioni – spiega Dina Dasoki -. Un esercizio per la fantasia e per l’immaginazione, perché le immagini si offrono a mille interpretazioni a mille deviazioni dalla storia principale».
L’ex studentessa del master spiega il significato che lei attribuisce alla storia. «La mia lettura è quella di un topolino rosa che vive nel suo mondo rosa. Tutto attorno a lui ha il suo stesso colore. Un giorno, durante una passeggiata nel suo mondo rosa, si ferma per riposare e alzando gli occhi al cielo si accorge che il sole non ha il suo stesso colore. Così, con questa novità nella testa riprende il cammino distratto dalla scoperta. A un certo punto si ritrova improvvisamente davanti a un bivio che non aveva mai visto prima. Da una parte la sua strada rosa prosegue, dall'altra una strada color del sole. Il topino, dopo molte esitazioni, si avventura sulla strada-sole. Il paesaggio intorno a lui piano piano muta e diventa tutto color sole. A un certo punto, dietro a una curva, incontra un personaggio anche lui color sole. I due cominciano a chiacchierare, si raccontano, si conoscono e si contaminano, il topo diventa un po' sole e il nuovo amico un po' rosa. E decidono di proseguire il viaggio insieme avventurandosi in paesi di colori nuovi».
Dina aveva sempre sognato di scrivere e illustrare una storia tutta sua e quando si è presentata l’occasione di decidere che argomento trattare per la sua tesi di master ha tirato fuori il suo sogno dal cassetto e ha trattato un argomento cui teneva molto: l’incontro con l’altro, visto come specchio in cui riconoscersi. La fiaba è stata già utilizzata per un progetto in Sri Lanka e adesso partirà per Lampedusa. Lo scopo è quello di sensibilizzare al valore positivo del rapporto con l’altro nei vari tipi di società multiculturale e cercare di affermare una cultura del rispetto della solidarietà e della convivenza pacifica.
Dell’équipe di psicologhe, guidate dalla professoressa Cristina Castelli, direttrice del master, farà parte anche Margherita Fioruzzi, psicologa che collabora sia con l'Associazione Realmonte sia con il Centro di Studi sulla Resilienza. «Lampedusa è luogo centrale per chi come me, è interessato allo studio delle migrazioni e dei diritti umani – racconta Margherita, che tra qualche settimana inizierà uno stage a Save the Children -. Parto principalmente come fotoreporter, per documentare il nostro lavoro in modo da poter riportare sia sul nostro sito, sia per futuri progetti/articoli, il camp di Ibby per i minori a Lampedusa. Sono felice e insieme emozionata: il mio campo di intervento è infatti la “Child protection”, in particolare con i minori rifugiati. Spero di poter donare qualcosa a questi bambini».