di Alessandro Andreani *
Sarebbero tante le cose da raccontare a proposito della mia esperienza grazie alla scholarship del Cesi. Le visite nelle scuole, tra centinaia di bambini, stupiti di veder la nostra pelle dal color del mango. Ma anche la nostra sorpresa – mia e di Nicole – che da turisti finivamo per trasformarci in una attrattiva umana, degna addirittura di fotografie, per la popolazione locale. E ancora, il viaggio alla scoperta di Hyderabad, capitale dell’Andhra Pradesh, attraverso un’India che cominciava a esserci familiare: il Paese di negozietti ed empori sul ciglio della strada grandi quanto un garage; degli “ape” a tre ruote troppo carichi di persone e merci; delle capre e bufali che bloccano il traffico perché transitano, o peggio riposano, in mezzo alla strada; delle persone scalze che camminano nel fango ma portano con sé l’ombrello in caso di pioggia…
Di fronte a tanti ricordi, preferisco raccontare un episodio che mi ha segnato. Come tutte le cose importanti, c’è impressa anche la data: la sera del 9 luglio. Ero in compagnia di nuovi amici, due signori indiani, Joshua e Gilbert, e due signori del Bangladesh, Viktor e Safiq, che come me stavano frequentando il corso in Community Driven Sustinable Development organizzato dal Bala Vikasa, l’Ong indiana che ci ha ospitato. Finite le lezioni di quel giorno, dopo un breve riposo, siamo usciti dal centro e abbiamo raggiunto a piedi un locale molto vicino. Ci siamo rifocillati e ho anche avuto l’occasione di assaggiare un autentico peperoncino indiano, piccantissimo! Tra una battuta e l’altra si è creata pian piano un’atmosfera, un legame difficile di esprimere con le parole, che trascendeva le differenze culturali, fisiche, ideologiche.
Durante quella serata sono state pronunciate parole bellissime, soprattutto da Joshua. «Siamo qui perché Dio lo vuole. Siamo benedetti dal Signore, dunque viviamo con gioia la vita. Lavoriamo per un mondo della pace! Questa sera si è creato un rapporto speciale, ma non ci sono tra noi aspettative o regole, è qualcosa di libero, ognuno lo sente dentro di sé». Riuscivo a cogliere perfettamente tutte le parole dette in quell’inglese, che, potete immaginare, non è lo stesso che si parla a Londra. Un prodigio di Dio. Anch’io pur essendo molto giovane, ho avvertito che c’era la mano di Dio in quell’incontro.
È stata una fortissima emozione anche quando abbiamo parlato del credo di Safiq, che crede nella Natura, e ci siamo abbracciati e baciati come fratelli. Joshua ci ha anche raccontato di terribili soprusi e violenze che tuttora avvengono in Sri Lanka, dove lui, ci ha confessato, è stato attivista e persino imprigionato. Comprendevo di essere in un posto dove non sarei mai più tornato durante il corso della mia vita, ma dove aveva avuto fisicamente luogo un evento spirituale, dove la mia anima ha volato mano nella mano con quella di altri, che la guidavano. Per rientrare al Bala Vikasa, nonostante il breve tragitto, abbiamo preso l’auto (che si pronuncia óto, ed è l’”ape” a tre ruote), perché sapevano che amavo andarci. Una volta al centro, siamo andati alla Dining room per cena, anche se io non avevo più fame. Per la prima volta ho mangiato il riso con le mani, come loro fanno abitualmente, per sentire il contatto cibo-corpo, seguendo la tecnica che mi ha insegnato Viktor: spingere nella bocca con il pollice il cibo che si è raccolto con la punta delle altre dita.
Infine siamo stati in giardino, seduti sull’erba, a parlare di problemi e di corruzione internazionale, riguardanti gli Usa, la Cina e l’Europa. Ci siamo detti che ognuno di noi ha nel suo piccolo la responsabilità di modificare in meglio la situazione internazionale attuale, a partire dall’azione sulle nostre rispettive culture. Joshua era pessimista per il prossimo futuro, ma non per la vittoria finale del bene e della pace. Non so ancora esattamente come, ma piacerebbe anche a me essere strumento di costruzione della pace, come Joshua lo è fin dallo sguardo e dalla sua determinazione. E così ci siamo augurati buona notte e ognuno è tornato in camera sua. «Humanity is one. God bless us all».
* 21 anni di Pesaro, studente del terzo anno di Lettere moderne, sede di Milano - Collegio Augustinianum