di Maria Teresa Riccardi *
Chissà che succede, quando dall’altra parte del mondo, tra gente di colore diverso, parlando una lingua non tua, basta un attimo per farti guardare quell’orizzonte e chiamarlo “casa”. E non parlo di pensiero cosciente, parlo di molecole, di vibrazioni, di entropia dell’universo che aumenta, del senso di appartenenza e di equilibrio che comincia a girare vorticosamente pronto a rimettere tutto in discussione… prima di terminare in una disastrosa, immensa, confusione. È così che sono tornata a casa, dopo ventuno giorni in Sri Lanka. Disorientata, come una bussola che ha perso il suo nord, che guarda affascinata i punti cardinali chiedendosi come sia possibile chiudere il mondo in quattro lettere… che pazzia! Se si seguisse sempre lo stesso nord, la stessa direzione, non si rischierebbe di tornare inesorabilmente al punto di partenza? Pensate una vita a percorrere sempre lo stesso meridiano lasciandosene sfuggire altri 23… Smagnetizzarsi. E provare un nuovo Nord.
A essere sincera, fino a pochi minuti fa non ero nemmeno sicura di voler scrivere, perché quando devi parlare di un’esperienza del genere ti fai sempre troppi problemi sull’immagine che vuoi veramente dare. Però sono le 22.30 di un 11 settembre italiano, abbiamo appena spento la televisione e commentato l’arbitraggio delle partite trasmesse. Guardo l’orologio, ancora sincronizzato lontano da qui, e leggo 02.00, 12 – 09 - 2010. Smagnetizzarsi. E provare un nuovo Nord. «Buonanotte, Sri Lanka, tra qualche ora ti attende una grande giornata», penso tra me. Già, perché il dodici settembre a “St. Mary’s” - la mia parrocchia - si celebra la “Church Feast”: migliaia di pellegrini da tutta l’isola a rendere omaggio to our Lady of Matara. Vorrei che guardaste i miei occhi mentre scrivo, per scorgerci i riflessi di Thishan e Michael che lucidano i candelabri, di Waruni a spolverare con cura le stoviglie il giorno del suo compleanno, di Mr.Perera ad ingegnarsi per fabbricare delle strane candele blu, di Shanaka, Felicitas, Keith, Dimal… ognuno a collaborare per quello che può. Cresciuti in una nazione cattolica, forse non riusciamo a immaginare la portata di un evento del genere: nelle nostre parrocchie si organizzano oratori e campi scuola, tutto l’anno partono pellegrinaggi di ogni tipo, ogni paese ha il suo santo protettore e la rispettiva festa… siamo permeati da una cultura che, credenti o no, ci ha fatti crescere pensando che tutto il mondo vada così, indipendentemente dalle radici storico-religiose.
Smagnetizzarsi. E provare un nuovo Nord. Lo Sri Lanka è un paese buddista, con minoranze di induisti, musulmani, e un esiguo 6% di praticanti cattolici. E per formare una diocesi si riuniscono città anche molto distanti tra loro: Galle, la sede del mio vescovo, è a tre ore e mezza di distanza da Matara (come se avessimo una diocesi foggia-lecce, per intenderci). In una realtà del genere, la festa della Chiesa diventa un documento d’identità, più che un rito. A proposito: la scuola musulmana fa iniziare un giorno dopo le lezioni per offrire ospitalità ai pellegrini nelle aule. Scuola musulmana-pellegrini cattolici. Ci sono parti del mondo in cui ci uccidiamo per una frase. E lì invece si danno ospitalità… Da non crederci. Ecco, penso che questo sia uno dei punti chiave per capire la mia bussola impazzita.
È il fascino magnetico di un uomo più umano, che disorienta e attira a sé. …Guardare quell’orizzonte e chiamarlo “casa”. Perché loro di accogliente hanno gli occhi, le mani spesso vuote ma aperte. Loro di accogliente hanno la testa, curiosa di conoscere ma non ansiosa di giudicare. Non vi aspettate grand hotel o maggiordomi, non vi aspettate nulla di tutto ciò che noi chiamiamo “servizi”, nulla di tutto ciò che ci fa crogiolare nel nostro essere “primo mondo”.
Lo Sri Lanka è stare attenti al colera nell’acqua corrente, è case di lamiera, è strade non asfaltate, è 35% di iva al supermercato, è fogne a cielo aperto, è un ospedale che cade a pezzi, è istruzione universitaria solo per il 5% degli studenti... Però lo Sri Lanka è anche la parabola satellitare su quel tetto di lamiera, è camminare a piedi nudi sulla terra soffice, è fare spesa - senza iva! - alle bancarelle ai bordi delle strade, è giocare a cricket per strada noncuranti delle fogne, è essere medici e infermieri e dare il meglio di sé per “avere cura” dei pazienti anche senza un tetto sulla testa. E questo, vi assicuro, fa venir voglia di salire sul primo aereo.
Pochi giorni dopo il mio rientro in patria, ricordo, ero al mare con i miei. Abbiamo preso una casa a poco più di 100 metri dalla spiaggia e, quella mattina, avevo voglia di camminare scalza - affronto o nostalgia?-. Le urla sagge di mia madre a farmi notare bottiglie di birra rotte sull’asfalto. In quel momento, capirete, ha prevalso la nostalgia… Smagnetizzarsi. E provare un nuovo Nord.… un nuovo punto fisso, a farmi leggere in modo diverso tutto ciò che accade. Quando si parla di crescita, di formazione, si intende questo, no? Un cambiamento, nel bene o nel male. Una maturazione.
“La perla dell’oceano indiano”, come amava chiamarla padre Charles, non può non restarti un po’ sottopelle, anche a kilometri di distanza. Sarà forse per quel bambino al bordo di una strada polverosa. Un piccolo principe nel suo vestitino cadente, col copertone di una bici tra le mani. Un piccolo miracolo che ti guarda e sorride. Sarà per quelle donne in un negozio di travi malandate, sorridere e tagliarci papaya per farcela assaggiare, lavarci le mani con una bottiglia e darci un fazzoletto sporco e strappato per asciugarci, regalarci la loro bocca sdentata e i loro occhi. Felici. Sarà per quei bambini che tutte le mattine affrontano ore di cammino fino a scuola, magari giocherellando tra loro con bacche rubate agli alberi della gomma lungo le strade. Sarà per quelle donne con chili di legna per il fuoco trasportati in equilibrio sulla testa. Sarà per tutte quelle immagini che ho già perso, da qualche parte.
«East or West, Matara is the best», continuavano a ripetere. Occhi che non hanno visto nulla del mondo, là fuori. Tanti negativi sviluppati nella mia mente; ma forse per parlare razionalmente di una cosa bisognerebbe averla conclusa. Mentre io ho ancora un orologio tre ore e mezza avanti.
* 22 anni, di Sannicandro (Ba), iscritta al quarto anno di Medicina, sede di Roma – collegio San Luca - Barelli