di Cecilia Langella *
Prima di partire per l’Africa avevo letto, per caso, Le città del mondo di Vittorini. Mi aveva colpito la vicenda di Rosario, un pastorello che gira col padre per i paesi della Sicilia a vendere ricotte. E, vedendo Scicli dall’alto in un giorno di festa, propone un’interessante equazione sulla bellezza: una città bella rende bella anche la gente che la abita, brutte città riversano la loro bruttezza sulle persone. Un ambiente bello permette lo sviluppo delle virtù morali e l’instaurarsi di relazioni di solidarietà. E, a sua volta, gente bella crea attorno a sé un ambiente armonico.
Quando sono arrivata in Etiopia, mi è subito sembrato che la realtà smontasse subito l’equazione di Vittorini. Le strade erano sporche, polverose, le case migliori di lamiere. Il resto erano capanne, l’aria pesante, irrespirabile, l’acqua spesso inquinata. Eppure non sembrava che la miseria abbruttisse gli uomini. Ho conosciuto un popolo accogliente e solare, che ama la musica e i colori. Ho visto tanti sorrisi, ho stretto molte mani, mi hanno abbracciato tante persone. L’ospitalità e il calore mi hanno lasciato senza parole. Penso di non aver mai visto tanta generosità: una gratuità quasi commovente, da parte di chi non ha nulla.
Mi sono chiesta se siano veramente loro i poveri o non piuttosto noi occidentali che abbiamo perso la capacità di apprezzare quelle cose che danno alla vita un sapore autentico. Schiavi del dio denaro, siamo intrappolati in un mondo consumista, vogliamo circondarci di cose belle o, meglio, alla moda, ma non siamo più in grado di distinguere la vera bellezza. Ci affanniamo per cose materiali che poi, alla fine, non ci appagano, non ci rendono felici ma ci lasciano vuoti. Più mi guardo attorno e più trovo un occidente spersonalizzato e alienato: con la pancia piena, ma il cuore vuoto.
In Etiopia ho avuto l’opportunità di stare e lavorare con i bambini della scuola gestita dalle suore che ci hanno ospitato. La prima cosa che mi ha colpito è stata la loro voglia di imparare. Era quasi difficile mandarli a casa la sera: incuranti del buio e delle strade non illuminate, restavano con noi fino a tardi, oltre l’orario di chiusura. Esattamente il contrario di quello che succede in Italia. Una bambina mi ha chiesto cosa pensavo della loro scuola e del paese. A lei piacevano molto entrambi, ma il posto in cui le piaceva di più stare era senza dubbio la scuola.
A questo punto mi è tornato in mente Vittorini e ho capito che la chiave di volta doveva essere l’idea di bello che si ha. L’ambiente è bello quando soddisfa i bisogni delle persone, quando la dignità di ciascuno viene rispettata, quando è accogliente e non ci sono porte chiuse. Si tratta di una bellezza funzionale. Se applichiamo questo concetto alla scuola, che è la realtà che ho vissuto meglio e conosciuto più a fondo, ci si accorge che è davvero un posto meraviglioso e un punto di riferimento per i bambini. Anche se ai nostri occhi le aule potrebbero sembrare solo degli stanzoni e il giardino solo un prato incolto, quei ragazzini vedono invece un luogo pulito, sereno, tranquillo, arioso, in cui si sviluppano relazioni di solidarietà e di rispetto.
Il motivo conduttore della nostra attività è stata la preparazione di una recita. È stato emozionante vedere quei bambini lavorare insieme, collaborare, dando ciascuno il meglio di sé. I più grandi si prendevano cura dei più piccoli, i più “ricchi” aiutavano quelli che provenivano da famiglie più povere. Sanno condividere gioie e dolori, vittorie e sconfitte. Lo spettacolino è stato un successo e si sono divertiti tutti, ma forse la soddisfazione maggiore l’abbiamo avuta noi. Me l’avevano detto che c’è più gioia nel dare che nel ricevere e che il volontariato arricchisce moltissimo ma solo ora ho capito davvero cosa significa. Sono tornata a casa con una valigia carica di doni e con un sentimento di gratitudine verso quelle persone che nemmeno mi conoscevano – anzi per loro sarei dovuta essere solamente “straniera” –, ma che mi hanno accolto, insegnato e dato tanto, molto più di quanto io abbia potuto fare per loro.
* 22 anni, di Milano, primo anno del corso di laurea magistrale in Economia e gestione delle imprese, delle aziende e dei servizi sanitari, facoltà di Economia, sede di Roma, collegio San Luca - Barelli