Sono trascorsi già due mesi dal mio ritorno dalla Bolivia, ma è come se fossi rimasta ancora lì. Perché? Semplicemente è il mio cuore che si ribella a mettere tutto in un cassetto e a dire: «È un'esperienza oramai terminata…». No, un mondo mi si è aperto davanti agli occhi e vuole essere conosciuto e vissuto. L’estate appena trascorsa, sono stata due mesi ad Aiquile in Bolivia, dove ho svolto il mio tirocinio, previsto dal mio percorso di laurea magistrale, presso un Centro educativo "Consipe", che accoglie bambini e ragazzi con varie forme di disabilità fisica e psichica. Ho ancora negli occhi, lo sguardo perso, ma profondamente vivo di Misael, ragazzo autistico di 16 anni, o l'ironia tagliente tipica di un ragazzo di strada come Ismael o, ancora, gli occhi vispi della piccola Monica, bambina con sindrome di Down, e Bernardo, Fernando, Osvaldo, Segundina… Sono circa una trentina "i miei ragazzi di Consipe", che ogni giorno mi sfidavano a chiedermi: «Selene, perché desideri diventare educatrice? Cosa significa educare per te?». Dopo l'esperienza ad Aiquile, la parola “educazione”, che nel mio percorso studi ho sentito troppe volte, ha iniziato a svelarsi sempre con più chiarezza e concretezza. Significa “voler bene, amare con gratuità”, avendo in mente che, come te, anche l'altro è stato creato per un destino buono; educando, desideri renderti strumento affinché questo accada.

Mi ha sempre colpito una citazione di Hanna Arendt: «L'educazione è il punto in cui si decide se si ama abbastanza il mondo per assumercene la responsabilità». È stracolmo l'elenco delle persone che mi hanno testimoniato questa "responsabilità": le suore e il vescovo Jorge che mi hanno accolto incondizionatamente; le ragazze del collegio in cui abitavo; i miei bimbi e ragazzi di Consipe e tutta la meravigliosa gente boliviana, così malinconica, ma così ricca di tradizioni e cultura e di una semplicità disarmante.

Forse ciò che più mi ha sconvolto di questa terra è il profondo senso di accoglienza che il popolo possiede: lì accogliere significa pura condivisione e aiuto reciproco; per loro è quasi scontato "pensare al fratello", sono veri maestri di accoglienza, altro che le nostre società terribilmente individualistiche! Nella mia amata Bolivia, ho incontrato un altro mondo: tante cose le sapevo già, avevo sentito molti racconti e visto molte foto. Sapevo che esisteva la povertà, ma qui ho incontrato quelli che non hanno niente, non solo per il domani, ma anche per l'oggi. Sapevo che esisteva il “mal di chaga”, ma non avevo mai dato la mano a un uomo sofferente. Sapevo che c’erano tante lingue, ma non mi ero trovata per così lungo tempo in mezzo a gente di cui non capisci nulla quando parlano. Sapevo che lì era difficile lavarsi, ma non avevo mai sentito l'odore dei più poveri. Non è altro da noi, è un mondo vicino a noi. Non è nel passato, è a venti ore di volo da casa mia.

Tutto questo ho incontrato, ed è accaduta una cosa strana: questo mondo non ha chiesto "permesso", non ha fatto tanto rumore; è sembrata una cosa naturale, non ha forzato un ingresso; è semplicemente entrato. Però quando è successo me ne sono accorta. Quando il bambino con le mani sporche mi ha preso per la maglietta, non mi ha dato fastidio come prima; quel mondo non era più al di fuori: attraverso le cose che ho sentito, gustato, visto e toccato, quel mondo è entrato dentro di me. Per sempre.

Adesso sono tornata a casa, o almeno così pensavo. Sono di nuovo nella mia vita quotidiana, ma non da sola; quel mondo che ho incontrato è venuto con me, non è rimasto in aeroporto. È rimasto dentro di me e ci rimarrà. È come se fossi diventata un po’ straniera anche quando sono a casa. Non c'è più un mondo che mi esaurisce, in cui mi ritrovo fino in fondo. Dentro di me ne rimane sempre un altro, che mi ricorda che non è per tutti scontato cenare prima di coricarsi, che non tutti si salutano allo stesso modo, che non tutti domani mattina potranno alzarsi. Sono stata da straniera in Bolivia, ma d'ora in poi vivrò un po’ da straniera anche a casa mia. Non succede così a tutti; c'è gente che colleziona viaggi in Paesi lontanissimi, ma in realtà non si muove mai da casa. Non è sufficiente il biglietto aereo, non è sufficiente entrare in un altro mondo; occorre essere disposti a lasciare che un nuovo mondo entri a far parte di te. Forse questo sentirmi straniera ovunque mi trovo, mi aiuta a riconoscere che è l'espressione di quella sete inesauribile di vita che tutte le persone hanno. Ringrazio di tutto cuore la gente di Bolivia, che mi ha permesso di allargare la misura del mio cuore e accorgermi che veramente siamo fatti per cose grandi, chiamati a essere cittadini del mondo.

 

* 23 anni, studentessa della laurea magistrale in Progettazione Pedagogica nei servizi per minori, facoltà di Scienze della formazione, sede di Piacenza