di Monica Tomassi *
Paris Descartes: si parte pesanti, si torna leggeri. E il peso in questione non è quello delle valigie. Ma di un’esperienza durata nove mesi che magari non ti cambia la vita ma che, silenziosamente, se la lasci fare, ti dà il tempo di cambiare.
Si parte con l’entusiasmo degno di una nuova occasione, ci si disegna la possibile silouette dell’università che ci accoglierà: i racconti di altri, le informazioni decifrate da un sito internet forse non immediatamente chiaro, i primi limiti di una lingua che, anche se si conosce, non è ancora nostra. L’aspettativa di tanta pratica, tanti stage, degli esami con “l’intrigante” impostazione come caso clinico, la voglia di nuove amicizie, nuove conoscenze o anche solo l’idea di un qualche cosa di nuovo da vivere sullo sfondo di una città che si presenta da sé. Il bello di questa opportunità si prospetta fin dall’inizio, l’incredibile si rivela vivendola.
Primo approccio nel nuovo mondo universitario: stupore certo, l’incredulità probabile. Conoscendolo si scopre che non è la presenza dei casi clinici o degli stage a fare la differenza: è l’esistenza di una cultura medica diversa, inizialmente spaesante, sicuramente formativa. Un sistema fondato sulla pratica e, in un certo senso, sulla praticità: lo studio della minuziosa fisiopatologia lascia spazio all’apprendimento di procedimenti pratici e il caso clinico diviene il corrispettivo su carta di ciò che può il giorno dopo avvenire in ospedale. Lo stage trimestrale, o semestrale a seconda dell’università, diviene il mezzo di apprendimento principale: l’externe, termine utilizzato per lo studente del triennio clinico, assume un ruolo più o meno rilevante, certo ben definito, all’interno del reparto da lui scelto. È impossibile mascherare l’impaccio dei primi giorni come diviene difficile, al termine dei tre mesi, ricordarsene. Nel reparto si richiede la tua partecipazione, il tuo interesse; la trasposizione teoria-pratica diviene l’accoppiata vincente della formazione medicale, lì dove ogni giorno rappresenta un’occasione per migliorarsi, imparando così senza rendersene conto.
Di non minore importanza è l’instaurarsi del rapporto con il restante personale sanitario e colleghi, la partecipazione ai corsi formativi inter-stage tenuti dagli stessi dottori del reparto, l’assistere e, perché no, l’intervenire nello staff, vero strumento del lavoro di équipe. Meno soft è l’impatto con una modalità d’esame che richiede più che la conoscenza della teoria una critica capacità applicativa della stessa: ma a prova superata la consapevolezza di essersi migliorati diviene la vera gratifica del lavoro svolto.
Dall’ospedale alla Fac(ulté) la vita universitaria non smette di entusiasmare e lo fa nei modi più insoliti coinvolgendo chiunque voglia prenderne parte, meglio se con un pizzico di follia. E così tra weekend di integrazione, banda musicale, attività sportive, vendita di prodotti ortofrutticoli locali iniziano a stringersi legami con i propri coexternes: la Fac, luogo indescrivibile quanto indimenticabile, permette agli studenti di condividere molto con molti, inclusi noi nuovi arrivati.
Per il resto ogni esperienza si realizza nella sua unicità grazie a una città che in una manciata di quartieri sa raccogliere il mondo, che sa offrire sempre più di ciò che umanamente si possa immaginare, e a un Paese che si lascia conoscere senza riserve. Certo è che, in una società dove i libri possono costare meno di un ticket metro, dove la cultura diviene motore della vita quotidiana e le biblioteche si presentano e si preservano con un rispetto dovuto ai grandi monumenti, l’essere studenti equivale a un privilegio non poco invidiabile.
L’opportunità di risiedere in una residenza universitaria della Cité Internationale Universitaire Paris (Ciup) aggiunge quel “più” di eccezionale: il collegio e la Cité nell’interezza regalano ai giovani la possibilità di accostarsi alle culture del mondo bussando alla porta dei propri vicini. Ci si lascia alle spalle i suoi cancelli consapevoli che non c’è nulla di più bello dell’essere diversi, obiettivo raggiunto se si pensa che la sua fondazione a cavallo tra le due guerre nasce dalla necessità di una «école des relations humaines pour la paix» (una “scuola di relazioni umane per la pace”).
Quando si torna si tenta di rispondere alle domande del «com’è andata?» attraverso un «tutto bene, semplicemente fantastico»: non è per sinteticità o mancanza di voglia di raccontare. Alcune storie nascono per essere vissute. Partire per credere.
* Studentessa iscritta al 4° anno del corso di laurea in Medicina e chirurgia, sede di Roma