La passeggiata di Donald Trump oltre il 32° parallelo rimarrà probabilmente la più famosa al mondo dopo quella di Neil Amstrong nel Mare della Tranquillità nel luglio del 1969.
La Corea del Nord è in realtà “un altro mondo” rispetto agli Stati Uniti, che l’hanno spesso trattata come una entità aliena e minacciosa. Come ha giustamente sottolineato Papa Francesco, si tratta comunque di un gesto simbolico importante positivo, se solo si considera che lungo quella linea armistiziale gli unici sconfinamenti in tanti decenni sono stati quelli legati alle provocazioni, spesso omicide, da parte nordcoreana.
Questo avvicina una soluzione? Dipenderà come al solito da quanto Pechino sarà disposta a concedere. Non va infatti dimenticato che, per quanto riottoso e parzialmente imprevedibile, il dittatore di Pyongyang sa bene di non poter fare passi sostanziali senza l’avallo del suo unico alleato-protettore. Il quale fino ad ora ha sempre preferito che la Corea del Nord logorasse i nervi della superpotenza americana allo scopo di mostrarne (soprattutto agli altri Paesi della regione) l’inefficacia della sua politica.
La riapertura delle trattative nella guerra dei dazi tra Stati Uniti e Cina potrebbe avere influenzato l’atteggiamento cinese. Ma è evidente che i temi sollevati rudemente dall’amministrazione Trump restano sul tappeto e che la fase iperglobalista, succeduta alla crisi dell’ordine liberale immaginato a Terranova nel 1941 e progettato a Bretton Woods (1944) e San Francisco (1945), è destinata a finire alle nostre spalle.
La consapevolezza che non sia più tollerabile un meccanismo in cui le economie nazionali sono al servizio e devono adattarsi alla crescita dei mercati globali (e non viceversa) sta dilagando. E con lei l’evidenza che più tempo aspettiamo a invertire il meccanismo, più è certo che la lotta tra gli iperglobalisti e i loro oppositori sarà animata da attori illiberali: Cina e grandi multinazionali da un lato, formazioni politiche pupuliste e sovraniste dall’altro.
* docente di Relazioni internazionali alla facoltà di Scienze politiche e sociali e direttore dell’Alta Scuola in Economia e Relazioni internazionali (Aseri)