Cosa vogliamo che rimanga di questo periodo segnato dall’isolamento? Le polemiche sterili oppure i gesti delle persone resilienti impegnate a ridisegnare, nel modo più efficace e rispettoso possibile, la loro quotidianità?
È sorto in risposta a una domanda il video-documentario “Vite in quarantena”, nato da un’idea di Francesco Soliani, laureato al Dams e specializzatosi al Ge.Co. - Gestione dei Contenuti digitali per le imprese e le aziende dello spettacolo della Facoltà di Lettere e filosofia al campus di Brescia, che l’ha sviluppato in collaborazione col collega film-maker Nicola Gennari. Un social movie che assume le fattezze di un mosaico di vite, in cui il valore documentario dei contenuti è inversamente proporzionale all’omogeneità del girato di base, fatto di registrazioni home-made inviate dagli utenti che hanno risposto alla call to action lanciata sui social dai due registi.
Francesco com’è nata l’idea? «Sostanzialmente sulla scorta di un bisogno innato in quelli che fanno il mio mestiere, ovvero raccontare la realtà e le vicende che accadono attorno noi. Solitamente lo facciamo uscendo in strada con la videocamera in spalla ma, nel mezzo di una situazione in cui alle persone è stato chiesto di chiudersi in casa – ci siamo chiesti - come e cosa potevamo raccontare? La risposta che io e Nicola ci siamo dati è quella che potete vedere in “Vite in quarantena”: un mix di 250 video-testimonianze provenienti da tutte le regioni d’Italia (più quella di una ragazza bergamasca residente a Berlino), condensate in 15 minuti densi di esperienze, impressioni, speranze, paure e opinioni».
Chiusi nelle vostre case, in isolamento, come avete raccolto il materiale? «Ha iniziato Nicola, postando un video-messaggio sulla sua pagina Facebook, che vanta molti followers, chiedendo di mandare i filmati all’indirizzo email. Abbiamo poi inviato richieste whatsapp a tutti i nostri contatti e pubblicato stories su Instagram. Da lì si è generato il passaparola tra amici e conoscenti e il nostro appello si è diffuso su scala nazionale. Il risultato sono state otto ore di girato amatoriale giunte nell’arco di pochi giorni. Ho sempre ritenuto che, a dispetto della denominazione, i social non siano poi così funzionali ai rapporti sociali autentici, ma in questo caso ammetto che il fenomeno della condivisione ha dato una grande spinta iniziale al progetto, fungendo da veicolo catalizzatore».
Cosa avete chiesto alle persone? «Nulla. Volevamo che le storie fossero autentiche, spontanee e naturali, non pilotate, per questo non abbiamo dato indicazioni o direttive benché fossimo consapevoli di tutti i rischi che ciò avrebbe comportato: inquadrature verticali, orizzontali, a fuoco o fuori fuoco, filmate senza l’ausilio di mezzi professionali e con scarsa definizione. Il risultato è dunque uno spaccato di verità tecnicamente disomogeneo, ma in questo caso la disomogeneità è parte integrante del contesto e rafforza il senso di base».
Quali categorie di persone hanno risposto? «Single, genitori, anziani, giovani senza una reale predominanza. Ci sono le storie di medici, infermieri e operatori sanitari che tornano a casa e non possono interagire coi propri figli, i racconti di persone guarite che hanno voluto lasciare una testimonianza, molte famiglie con bambini a casa da scuola, studenti con la corona di alloro nel giorno della loro laurea conseguita telematicamente e persone di tutte le età che hanno voluto lasciare un loro pensiero. La prima operazione ha riguardato l’archiviazione di tutto il materiale, suddividendolo per tipologia, successivamente Nicola ha “cucito” tra loro tutte queste storie, molte delle quali toccanti al punto da strapparci lacrime a distanza in più di un’occasione».
E come siete giunti a riassumere tutto ciò? «Le fasi più complesse del lavoro sono state la postproduzione del materiale raccolto e l’elaborazione di uno storytelling con frammenti di dialoghi diversi e la scelta delle frasi-chiave. Ma abbiamo voluto inserire qualcosa di tutti: diversi minuti o pochi secondi non ha importanza, volevamo che tutti comparissero, sia per una questione di completezza di un lavoro che si è basato sulla partecipazione collettiva, sia per dimostrare riconoscenza nei confronti di coloro che ci hanno donato il loro tempo rispondendo al nostro appello».
Se dovessi porre a te stesso la domanda iniziale, cosa ti rimarrà di questa quarantena? «L’aver documentato qualcosa che ha riguardato il nostro tempo e ciò che stiamo vivendo, la spinta innata al racconto di quelli che fanno il mio mestiere. Io, Nicola e tanti altri video-maker di tutti Italia abbiamo risposto con i nostri mezzi e le nostre idee, provando a realizzando qualcosa che, nella migliore delle ipotesi, negli anni a venire diverrà memoria e documento storico di ciò che è stato».