La parola e la letteratura contribuiscono a dare voce alle sofferenze e alle ingiustizie individuali, che verrebbero dimenticate di fronte all’incedere della storia. In tal senso, la letteratura della Grande Guerra è un banco di prova essenziale per ogni riflessione sul male, riferendosi a una delle più grandi tragedie dell’umanità che abita ancora la contemporaneità con il suo carico di dolore, ingiustizie e sofferenze. Non solo: la disumanizzazione del nemico, come essere inferiore altro da sé, l’obbedienza all’autorità e la spinta al conformismo sono temi quanto mai attuali, oltre che caratterizzanti il secolo appena concluso.
Come ha ricordato Arturo Cattaneo, docente di Lingua e letteratura inglese dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, il primo conflitto mondiale è un esempio tipico di guerra moderna che, prima ancora degli eserciti, ha coinvolto i popoli. L’elemento “massivo” ha cominciato a svilupparsi fin dai primi giorni della dichiarazione di guerra, esprimendosi in una sorta di frenesia patriottica, di trasporto personale, animato dalla riscoperta di un’unità nazionale data dalla contrapposizione con il nemico. Simbolica la propaganda bellica che ha infuocato la “chiamata alle armi” perorando l’ideologia del mito nazionalistico; anche i manifesti propagandistici “inquadravano” la guerra come una sfida, un’avventura, espressione di virilità e difesa della Patria dal barbaro invasore.
A questa rappresentazione della guerra, che ha acceso un iniziale entusiasmo interventista, si contrappose ben presto la realtà di morte e devastazione della vita da trincea. Una guerra combattuta non con le baionette, le spade e la cavalleria ma con strumenti bellici di distruzione di massa: mitragliatrici, artiglieria e, per la prima volta, i gas letali. L’orrore della guerra è magistralmente descritto dal poeta britannico, Wilfred Owen, nella poesia Dulce et decorum est e da altri autori della war poetry, quali esponenti di una letteratura che reagisce con sdegno alla ridondante retorica dei governanti nel perorare una guerra avvilente e degradante.
In questo clima di esasperazione del conflitto e di annientamento dell’umanità, l’episodio della tregua di Natale del 1914 rappresenta un evento unico e straordinario. La notte della vigilia, nei pressi della cittadina belga di Ypres (località che, l’anno seguente, diventerà, altresì, tristemente nota per essere lo scenario in cui per la prima volta sarà impiegato il gas a base di cloro, da allora soprannominato “yprite”) alcuni soldati tedeschi iniziarono a porre decorazioni natalizie nelle loro trincee e a intonare canti di Natale. Ai cori tedeschi si unirono in un unico canto natalizio i soldati inglesi. Seguirono numerosi episodi di spontanea fratellanza e condivisione con scambi di regali e aiuti reciproci nella “terra di nessuno” fra le due trincee.
È interessante, come ha ricordato il professor Gabrio Forti, comprendere i meccanismi sociologici dell’evento. La tregua tra soldati, avversata dagli stati maggiori dei due schieramenti, si è inserita in un clima di grande contrapposizione, pregiudizio e di odio tra Nazioni e popoli. Rappresenta la liberazione dell’uomo, dell’individuo, che resiste alla spinta al conformismo della massa, come espressione di un non pensiero, e mediante la condivisione di un rito, il canto reciproco, sviluppa meccanismi empatici di comunanza e fratellanza.