«Noi, il popolo del Sudafrica, dichiariamo perché l'intera nazione e il mondo sappia: che il Sudafrica appartiene a tutti quelli che vi abitano, neri e bianchi, e che nessun governo può legittimamente esercitare l'autorità senza il consenso di tutto popolo». Sono le parole con cui si apre solennemente la Freedom Charter, adottata il 26 giugno 1955 dal Congresso del Popolo riunito a Kliptown.
Era il tempo in cui il rifiuto di Cassius Clay/Muhammad Alì di prendere parte alla guerra in Vietnam era meno di un miraggio; otto anni prima che Martin Luther King pronunciasse il celebre discorso in cui diceva: «I have a dream»; precedendo di qualche mese Rosa Parks e il suo rifiuto di abbandonare il sedile “riservato a soli bianchi” su cui era seduta. «Nessuno però conosce questa storia meravigliosa» ha fatto notare Paolo Colombo.
Una vicenda poco nota, che il professore di storia delle Istituzioni politiche dell'Università Cattolica ha raccontato, aiutato dalla recitazione di Maddalena Crippa. «Perché il mondo sappia» è una lezione aperta e un viaggio «seguendo il sole», attraverso il Sudafrica dell'apartheid, guidati dal testo della Freedom Charter, dalle canzoni di Miriam Makeba, da immagini e da testimonianze di chi era presente «in quel campo da calcio spelacchiato di Kliptown, elevato proprio quel 26 giugno a monumento nazionale, dove ora sorge il Freedom Charter memorial».
Alla redazione del documento, che raccolse le proposte di tutti i cittadini interessati a «rendere il Sudafrica un luogo felice e a misura di tutti» contribuirono i delegati di tutti i movimenti anti apartheid sudafricani. Si trattò di «una prospettiva originalissima, la mobilitazione popolare comportò un lavoro senza sosta dei volontari dei principali movimenti sudafricani», cui seguì un documento la cui aspirazione non era quella di una giustizia vendicativa.
«Per la prima volta dall'occhio per occhio dente per dente di Hammurabi, si propose un'ideale di giustizia conciliativa, in un progetto guidato da un'incredibile spinta idealistica». Il progetto e la redazione della Freedom Charter furono ostacolati: molti degli esponenti dell'African National Congress vennero messi al bando nel tentativo di impedire la grande assemblea di Kliptown. Nelson Mandela osservò la due giorni dal tetto di una vicina ferramenta, nonostante le autorità gli avessero formalmente impedito di recarsi sul posto.
La bozza approvata il 25 e 26 giugno 1955 univa le richieste popolari alle aspirazioni politiche dei tanti movimenti politici che formavano il Consiglio nazionale d'Azione, una sorta di ente promotore del coinvolgimento popolare nella redazione del documento.
Ne uscì un testo diviso in dieci capitoli, una «Carta dei diritti di un nuovo Sudafrica, un compromesso riuscito tra le tante anime del movimento». Dalla sovranità popolare all'eguaglianza dei diritti, dalla giusta retribuzione alle pari opportunità, ma anche libertà di movimento, diritto di proprietà, al lavoro, alla sicurezza personale e all'istruzione.
Questi sono i punti cardine della Freedom Charter, un testo «tutto declinato al futuro» come ha ricordato Paolo Colombo. La fine del regime di apartheid giunse soltanto nel 1994: oggi quel campetto di Kliptown è un vero monumento nazionale su cui sventola la bandiera arcobaleno del Paese che «segue il sole» e che ha dedicato il 2015 proprio alla Freedom Charter.
Drum Photographer © Bailey’s Archive, 1955