Un segnale molto forte per un corretto impiego dei fanghi di depurazione in un’ottica di economia circolare. È partito da Piacenza, dove tutti i protagonisti della filiera si sono confrontati in un convegno di studio che si è tenuto nella sede dell’Università Cattolica lo scorso 15 maggio.

Nell’ambito dell’iniziativa è stato presentato lo studio scientifico realizzato dal preside della facoltà di scienze agrarie, alimentari e ambientali Marco Trevisan, per un corretto impiego dei fanghi in agricoltura.

«Un progetto realizzato per fare chiarezza in un settore troppo spesso demonizzato e trasformare la visione di fango non più come rifiuto ma come risorsa» ha spiegato il professor Trevisan. «In quest’ottica abbiamo analizzato i terreni ed evidenziato la necessità di apporre alcuni correttivi importanti in riferimento all’impiego dei fanghi: ottenere standard qualitativi elevati, attraverso test microbiologici e di fitotossicità al fine di poter dare garanzie di qualità agli agricoltori, e un programma di ricerca e sviluppo ad ampio respiro che prenda in considerazione almeno un periodo di 10 anni con l’obiettivo di passare da un’economia lineare ad una circolare».

Il professor Trevisan in particolare ha posto l’accento sul caso della Pianura Padana, dalla Lomellina al lodigiano dove il consumo prolungato del suolo in decenni di attività rende oggi evidente il rischio di desertificazione anche per la presenza di terreni sabbiosi «che necessitano per l’appunto di fanghi».

Lo studio commissionato dalla società Evergreen del gruppo Visconti e realizzato dal professor Trevisan ha preso in esame 160 terreni e oggi, al 50 percento della sua realizzazione, ha messo in evidenza la necessità di impiegare i fanghi come fertilizzanti naturali.

«A essere a rischio desertificazione sono in particolare i terreni sabbiosi - spiega Trevisan – ragione per cui è emerso che proprio la Lomellina, con ha questo tipo di terreno povero di sostanze organiche, è ideale per l’impiego di fertilizzanti organici in grado di migliorare la qualità dei prodotti ed impedire la desertificazione».

Un obiettivo che dovrebbe essere comune a produttori, agricoltori, enti ed istituzioni, invece a generare una querelle sul tema è essenzialmente una normativa poco chiara e non conforme a tutte le regioni italiane che rende il settore vulnerabile e oggetto di battaglie giuridiche ed anche mediatiche.

«La chiave di svolta è la necessità di avere una legge aggiornata e uniforme in tutto il Paese» rilancia Coldiretti con i due rappresentanti delle regioni più all’avanguardia sul tema: Ettore Prandini e Mauro Tonello rispettivamente di Lombardia ed Emilia Romagna, insieme a Enterisi, con il presidente nazionale Paolo Carrà e lombardo Marco Romani.

«Oggi stiamo pagando la miopia di anni» affermano. «È del tutto paradossale che Regioni confinanti abbiano leggi che prevedono in tema di fanghi valori e sistema di analisi diverse, questo genera confusione e timore nella cittadinanza, occorre pertanto agire su più livelli: partendo da una normativa uniforme, occorre poi potenziare la ricerca ed i controlli, creare uniformità di distribuzione organica, come avviene in altri paesi del nord Europa come Olanda e Germania, in questo modo è possibile che i fanghi diano benefici in termini ambientali».
 
Esiste oggi un acceso dibattito nelle province di Pavia e Lodi anche in tema di inquinamento ambientale dettato da una percezione negativa del fango per il cattivo odore che emana e che rende difficoltosa la convivenza con la cittadinanza. Per far fronte a questa criticità Giovanni Daghetta, presidente Cia, Carlo Piccinini di Fedagri e Damiano Simine, responsabile scientifico Legambiente Lombardia, hanno evidenziato la necessità di lavorare in ambito tecnologico con nuovi progetti al fine di trattare gli odori.

«Esistono soluzioni tecnologiche per migliorare questo e altri problemi, penso soprattutto alla digestione anaerobica e al compostaggio successivo dei fanghi che permettono di ottenere delle matrici fertilizzanti recuperando al tempo stesso energia e nutrienti e risolvendo il problema delle emissioni moleste. Al tempo stesso il tema delle infrastrutture e dei controlli è importante perché il rischio che si innestino invece dei fenomeni negativi che recano danno alla reputazione di tutto il comparto è sempre in agguato».

«Migliorare questo aspetto è possibile» ha commentato Donato Rotundo di Confagricoltura. «Il quadro strategico europeo ci porta in una direzione che non a caso va verso la bio fertilizzazione. Con il progetto suolo si possono individuare diverse tipologie di sostanze organiche contro la desertificazione, importante è la certificazione dei suoli e dei fanghi e trattare gli odori fino a renderli tollerabili».

Trattamenti che hanno chiamato in causa le aziende leader nella produzione di macchinari in grado di studiare e migliorare la qualità dei fanghi. Da Agrosistemi di Piacenza, «in grado di separare le sostanze inutili da quelle organiche e restituire un prodotto ideale per il terreno a cui viene destinato» ha spiegato Fabio Cella amministratore di Agrosistemi; fino alla carta d’identità dei terreni e dei fanghi che confluirà su una piattaforma integrata, «con l’intento di individuare, attraverso analisi di idoneità, le quantità corrette e dove sono necessarie per rendere ottimale la produzione agricola» come ha fatto notare Elisa Camussa, direttore del laboratorio Arcadia del gruppo Visconti.

Tutto ciò con la finalità di una condivisione con i cittadini, come ha affermato Roberto Mazzini di Utilitalia “Cosa significa? Far capire ad amministratori e cittadini l’importanza dell’uso dei fanghi nell’agricoltura, attraverso una corretta informazione ed un percorso condiviso da tutta la filiera”.