di Adriano Dell’Asta *

Non è difficile parlare di incontro del secolo, anzi è una delle poche volte in cui si può dire, senza paura di essere smentiti, che stiamo per assistere a qualcosa che non si era mai visto prima: un Papa di Roma e un Patriarca della Chiesa Ortodossa Russa non si erano mai incontrati sino a oggi. E un evento di questo tipo ha valenze che lo rendono effettivamente irriducibile alla storia di tutti i giorni. 

Molti hanno sottolineato le combinazioni geopolitiche e geospirituali che possono stare sullo sfondo di questo evento; e davvero sono evidenti le situazioni di crisi che potrebbero trovare uno sviluppo positivo grazie a un riavvicinamento tra le due Chiese: si è parlato della tragedia del Medio Oriente e della situazione dei profughi e dei cristiani perseguitati o della situazione ancora drammatica sul confine russo-ucraino, ma si è parlato anche, su un versante più ecclesiastico, della necessità per Mosca di presentarsi come un interlocutore privilegiato al prossimo concilio pan ortodosso e anche dell’eterno problema del rapporto con le Chiese cattoliche di rito orientale.

Sono tutti problemi reali, ma si lasciano sfuggire l’essenziale: per quanto l’incontro possa essere stato favorito da questioni storiche e politiche contingenti, la sua preparazione era nell’aria dai tempi di Giovanni Paolo II e poi, in maniera anche più insistente, dal pontificato successivo, grazie ai progressi compiuti con Benedetto XVI, e comunque ben prima che la situazione internazionale precipitasse come negli ultimi mesi. Sarà banale ricordarlo, ma il Patriarca di Mosca e il Vescovo di Roma, con agende prefissate a lunga scadenza, non si trovano a passare per caso nello stesso giorno dall’aeroporto di Cuba.

Richiamare questo dato concreto ci può consentire di guardare all’evento in maniera più completa e attenta alle sue dimensioni più squisitamente ecclesiali; non si tratta di essere spiritualisti, ma di rispettare la complessità di ciò di cui si parla: non ha senso parlare di un evento ecclesiale con categorie esclusivamente politiche o mondane.

L’incontro è stato preparato da un lungo cammino perché dentro il cuore degli uomini che lo hanno cercato urgeva la sete dell’unità, urgeva la chiamata dello Spirito a essere fedeli a Cristo; una delle cose alle quali siamo costantemente richiamati attraverso il magistero di Papa Francesco è l’insistenza affinché nella vita concreta di ogni giorno ciascuno di noi veda un’occasione per rispondere ai doni che Dio gli offre per l’eternità.

La sfida dell’unità, per un cristiano, non è mai una cosa che riguarda soltanto gli accordi ad alto livello, ma tocca sempre il cuore dell’uomo per la sua conversione di ogni istante; ed è il cuore di ogni uomo ad essere toccato, non solo quello delle diplomazie e delle segreterie che hanno preparato l’incontro, dei teologi che saranno chiamati a sviluppare il cammino verso l’unità, dei politici che potranno trarne uno spunto per superare le crisi attuali.

Qualsiasi cosa succeda ora, quali che saranno i risultati che avremo di fronte nei prossimi giorni, epocali o minimi, nulla potrà cancellare il fatto stesso dell’incontro e della gratitudine con la quale dobbiamo guardarlo perché è un’occasione per la conversione di ciascuno di noi; e provvidenzialmente ci viene offerta, quest’occasione, nell’anno della Misericordia, quando il perdono che chiediamo e offriamo non parte dalla recriminazione per i torti subiti o dalla vergogna per quelli consumati, ma dalla gioia per la vita nuova che ci è offerta.

* Professore di Lingua e Letteratura Russa, già direttore dell’Istituto Italiano di Cultura di Mosca