Giovani che condividono le proprie esperienze lavorative tramite social, libri o eventi sono all’ordine del giorno. Per quanto la mia non sia interessante come quella di Mauro Icardi o di uno youtuber con milioni di follower, proverò a non annoiarvi con il racconto del mio percorso da comunicatore. Nonostante la mia laurea in legge non fosse il naturale trampolino di lancio verso il mondo della comunicazione, decido di intraprendere questo percorso iscrivendomi nel 2017 al Master Media Relation e Comunicazione d’Impresa dell’Alta Scuola di Media Comunicazione dell’Università Cattolica.
Sarò sincero, il mio primo contatto con questo fantastico mondo risale a qualche anno prima, quando fondo a 19 anni una piccola agenzia di eventi nella mia città natale, Catania, grazie alla quale ho la fortuna di collaborare con il brand Red Bull per 3 anni.
Frequentare un Master per me significa imparare e interagire con veri professionisti del settore, che hanno contribuito a delineare e definire il profilo del comunicatore. Chi meglio di loro per imparare il mestiere più bello del mondo? Leggo la faculty del Master, non mi serve altro per convincermi a iscrivermi. Vedo nella stessa aula il Direttore Comunicazione di Generali, Snam, Whirpool, Italcementi, e brand del calibro di Coca-Cola, Fc Internazionale, Pirelli giusto per citarne alcuni e capisco subito di aver fatto la scelta giusta.
Finisco l’ultimo esame e la settimana successiva mi trovo seduto su una sedia situata al 36esimo piano della Torre Hadid, headquarter di Generali Group, pronto al primo stage. Qui ad accogliermi niente poco di meno che Simone Bemporad, il già citato Direttore Comunicazione, Roberto Alatri (Capo Ufficio Stampa) e Alberto Paletta (Content Manager). La mia esperienza presso il colosso assicurativo dura un anno. Se hai passione verso questo lavoro, un anno è sufficiente per mettere le basi alla tua carriera e creare quel network per fare il salto di qualità. Qui mi occupo principalmente di ufficio stampa e del content management per i canali esterni del Gruppo. Ho la fortuna (di nuovo) di lavorare per eventi chiave come l’Investor Day e la presentazione dei risultati finanziari. Ma soprattutto, qui imparo, ascolto, leggo (!), interpreto, sbaglio, capisco cosa significhi lavorare in un grande ufficio comunicazione.
Alla fine di questa incredibile esperienza, arriva una gradita chiamata dal master dell’Università Cattolica che non si era scordato di me. Mi propone un colloquio per Transcrime, centro di ricerca sulla criminalità transnazionale. Il ruolo? Communication Manager! Wow! Wow! Perdonate la ripetizione, ma è quell’emozione ancora viva che provai in quel momento. Mando il curriculum, partecipo alla selezione e dopo due settimane vedo sulla nuova business card il mio nome accanto alla scritta Communication Manager di Transcrime. Faccio le valigie, dico il grazie più sincero della mia vita ai miei mentori di Generali e inizio questa nuova sfida. Parlo di sfida perché passare dalle logiche della Comunicazione Corporate a quelle della Comunicazione (o meglio) Divulgazione scientifica non è così immediato. Per Transcrime, in qualità di responsabile della comunicazione, svolgo diverse funzioni: dalla definizione del piano di comunicazione, alle media relation, passando per la strategia e la gestione di tutti i touchpoint del centro, senza trascurare l’organizzazione di eventi. Tutte attività che svolgo con il supporto di un team.
Adesso non voglio allontanarmi dal titolo di quest’articolo e soprattutto provo a non deludere le vostre aspettative quando all’inizio vi ho parlato del tentativo di non annoiarvi. Stiamo vivendo un periodo atipico, mesi difficili in cui ci è stato imposto di rimanere a casa per evitare il contagio da Covid-19. Durante questi mesi ho avuto tanto tempo per riflettere sul ruolo del comunicatore come semplificatore della realtà e più in generale sull’impatto della comunicazione mediatica sulla nostra vita sociale, politica ed economica. Unisco questa riflessione alle parole del sociologo Manuel Castells nel libro Comunicazione e Potere e come contorno metto la mia ferma convinzione che “tutto è comunicazione”. Li shakero, li mescolo (non me ne voglia James Bond) ed esce fuori Storyword (senza oliva). Cosa è Storyword?
Storyword è un progetto editoriale che gestisco con il supporto di diversi professionisti del nostro settore. Nasce con una doppia ambizione. Da un lato, punta a fornire ogni settimana, con l’aiuto di un algoritmo, una sintesi ragionata dei contenuti più significativi apparsi sui media, nazionali ed internazionali, relativi alle tecniche e ai target di comunicazione. Dall’altro lato, si propone di analizzare l’impatto della comunicazione mediatica sulla vita sociale, politica, economica e intellettuale di tutti coloro che, in un modo o nell’altro, ne sono fruitori. Lo facciamo cercando di individuare i fili rossi che collegano le fonti al contesto, fornendo la nostra interpretazione sugli obiettivi, espliciti ed impliciti, di chi ha concepito e realizzato determinati contenuti.
Non è un magazine (forse un giorno) né tantomeno un giornale online. Mi piace definirlo uno strumento originale e utile per la comunità dei comunicatori (e non solo) di tutte le età’ che desiderano approfondire temi che li riguardano direttamente e indirettamente. Dopo aver guardato le storie di Instagram del ragazzo o della ragazza che vi piace, dategli un’occhiata. Concludo dicendo che Storyword è un progetto aperto, chiunque sia interessato può fare richiesta di partecipare tramite il sito.
Se siete arrivati fino a questo punto, posso ritenermi soddisfatto di aver mantenuto la promessa.
* Communication Manager – Transcrime - Università Cattolica, ex studente del master in Media Relation