di Elisa Giunipero *
Tra le sfide di politica internazionale che oggi la Cina affronta, dopo quarant’anni dalla morte di Mao, c’è anche il rapporto con la Santa Sede. Questione complessa e annosa per Pechino che proprio nel periodo maoista ha assunto caratteristiche che ancora oggi condizionano queste relazioni.
La “Lettera ai cattolici cinesi” (2007) di Benedetto XVI rappresenta un riferimento importante che Papa Francesco vuole rilanciare. Dopo che monsignor Pietro Parolin, profondo conoscitore della situazione della Chiesa cinese, lasciò Roma nel 2009, i contatti tra Cina e Santa Sede ebbero una brusca interruzione ma tali contatti sono ripresi proprio grazie all’azione del cardinale Parolin, divenuto Segretario di Stato.
Il pontificato di Papa Francesco, come ha notato Andrea Riccardi, ha portato un approccio de-ideologizzato al rapporto con la Cina. Ciò che appare più rilevante è il nuovo “processo” avviato da papa Francesco nei confronti del Paese asiatico, in cui il pontefice guarda con simpatia a tutto il popolo cinese.
Nell’intervista rilasciata a “Asia Times” il 2 febbraio 2016, il Papa lancia un appello a non avere paura della Cina ed esprime molto chiaramente la speranza che questo Paese sia un alleato nella costruzione della pace. La prospettiva è quella di una sfida comune per la pace globale in cui la Cina è chiamata a giocare un ruolo attivo e positivo. L’obiettivo non è dunque conquistare maggiore spazio per la Chiesa in un Paese che al fondo rimane distante e ostile. Nella visione “poliedrica” del mondo di papa Francesco, la Cina non è più una periferia lontana su cui estendere gradualmente l’influenza del cristianesimo ma un luogo che può irradiare cultura e contribuire alla pace.
La Cina si è considerata a lungo il centro del mondo e il sino-centrismo è il sistema su cui per molti secoli ha fondato i propri rapporti col mondo esterno. Oggi nella Repubblica popolare cinese, la seconda economia del pianeta, Xi Jinping ha lanciato nuove parole d’ordine quali “rinascita cinese” e “sogno cinese”: il cosiddetto “secolo dell’umiliazione nazionale” – che ha così profondamente segnato la storia del Paese nel Novecento –, iniziato con le Guerre dell’oppio alla metà dell’Ottocento e ufficialmente concluso nel 1949, con la rivoluzione guidata da Mao, solo oggi viene definitamente superato e la Cina ritrova una sua centralità in Asia e nel mondo. Emblema dell’attuale strategia geopolitica cinese è l’imponente progetto di costruire una “Nuova Via della Seta” (Belt and Road Initiative), lanciato nel 2013, una sfida all’egemonia statunitense e un gigantesco programma di integrazione economica e di cooperazione culturale per riaffermare l’unità e centralità dell’Eurasia.
Il pontificato di Francesco è iniziato nello stesso momento in cui iniziava la presidenza di Xi Jinping e si inserisce quindi, con perfetta coincidenza temporale, nell’attuale fase storica in cui la Cina vuole affermare e vedere riconosciuto un proprio ruolo attivo sul piano internazionale. Il Papa sembra accogliere questo desiderio, volendo interpretarlo positivamente e anche orientarlo. I cinesi, sia la dirigenza politica sia la gente, percepiscono la “nuova dinamica” che il Papa ha avviato e hanno colto questo nuovo approccio più di quanto si pensi. Forse proprio questo è il primo motivo della popolarità – inedita per un papa – di Francesco in Cina.
Un altro slogan politico lanciato recentemente dal presidente Xi Jinping è la “sinizzazione” delle religioni che viene oggi presentata come una priorità per tutte le comunità di fedeli presenti nel Paese. Questa espressione, dal febbraio 2017, è stata inserita nello statuto dell’Associazione patriottica dei cattolici cinesi (di cui ricorre quest’anno il 60° anniversario dalla fondazione) e nello statuto della “Conferenza episcopale cinese” ufficiale. Sia nel termine cinese “Zhongguohua”, sinizzazione, sia nelle sue traduzioni nelle varie lingue occidentali è insita una certa genericità e il concetto può essere inteso con varie accezioni: culturale, etnica o politica.
Lungo tutta la storia della Chiesa cattolica in Cina c’è stato un grande sforzo di adattamento culturale al contesto locale e, dal punto di vista della Chiesa cattolica, il concetto di sinizzazione è stato concepito in termini culturali.
Oggi, nel linguaggio politico ufficiale, quando riferita alle religioni, questa espressione sembra però avere piuttosto il significato pragmatico di “localizzazione” nel contesto politico attuale e non indica la trasformazione di una tradizione religiosa per adattarsi alla cultura cinese. Nell’ottica del governo cinese, vi è una rinnovata esigenza che le religioni presenti in Cina siano sinizzate cioè si adattino alla situazione politica guidata dal Partito comunista cinese, rispettino le leggi, si inseriscano nella società socialista.
In una Chiesa guidata da un Papa gesuita e latinoamericano per il quale non ci può essere evangelizzazione senza inculturazione, è oggi più che mai possibile affrontare in modo creativo nuove sfide di adattamento al contesto sociale e politico cinese.
* Docente di Storia della Cina contemporanea all’Università Cattolica del Sacro Cuore