Il film è Benvenuti al sud. La scena è quella di Claudio Bisio nella confraternita del gorgonzola. La grossa forma di formaggio al centro degli adepti non è una qualunque, ha un marchio conosciuto e ben in vista. Non è pubblicità occulta, come qualcuno potrebbe pensare. È product placement. E non si tratta dell’ennesimo ricorso a un paio di parole in inglese per confondere le idee, ma di una pratica pubblicitaria alla luce del sole, regolamentata da una normativa specifica. Ne ha parlato Luca Miniero, regista del fortunato film e fortunatissimo sequel, Benvenuti al nord, nell’ambito della prima delle due giornate di masterclass organizzate dall’Almed sul tema Dal product placement al branded entertainment, che si è tenuta il 28 e 29 aprile nell’aula Pio XI dell’ateneo. Insieme a lui ne hanno discusso con gli studenti del Master in comunicazione e marketing del cinema (Cmc), Elisa Boltri, responsabile product placement della casa di produzioni Cattleya, Luciana Sanna, responsabile sponsorizzazioni di Poste Italiane, e Francesco Brambilla, direttore dell’unità product placement dell’agenzia Camelot.
L’inserimento di prodotti commerciali nelle pellicole è un po’ la bestia nera di tutti i registi. È forte il timore di vedere limitate le scelte artistiche o di doverle piegare alle necessità dei committenti. Miniero ha un approccio realista: «Il product placement è soltanto uno dei paletti che il regista si trova ad affrontare nella realizzazione di un film, esattamente come le esigenze di produzione, il budget, la disponibilità di attrezzature e gli stessi attori. Tutto il film con o senza un committente che vuole far vedere un suo prodotto, è frutto di compromessi». Miniero non fa mistero degli attriti che a volte si creano con la produzione, ma ci tiene anche a precisare che il patto commerciale tra committenti pubblicitari e cinema riguarda, per sua natura, una produzione più leggera e rivolta al grande pubblico. «Un regista di commedia è già abituato di suo alle mediazioni e difficilmente si troverà a fare una crociata contro i marchi. È anche vero che le aziende non sono certo interessate a pubblicizzare i propri marchi e i propri prodotti in film d’autore, che affrontano temi sociali o drammatici o che sono rivolti a un pubblico più ristretto». Per questo motivo, però, il paradosso è che l’iniezione di danaro che potrebbe provenire da un uso più diffuso del product placement va ad aiutare proprio quella parte del cinema italiano che ne ha meno bisogno, quella dei cinepanettoni e delle commedie che riempiono comunque le sale.
Ma il caso dei due ultimi film di Miniero è particolare. Sarebbe difficile immaginare le gag tra Bisio e Siani senza il giallo delle Poste Italiane sullo sfondo. «Il coinvolgimento dell’azienda è stato naturale, fin da subito. Se non ci fosse stato avremmo avuto il problema di far fare ai due protagonisti un altro lavoro», scherza. Non c’è dubbio però che ci troviamo davanti a due storie che, avendo come naturale palcoscenico un ufficio postale, si offrivano quasi spontaneamente a una partecipazione significativa di Poste Italiane, che ha risposto prontamente alla chiamata. «Il problema sorge quando le esigenze di product placement, soprattutto di committenti che investono grosse cifre, si scontrano con la trama, arrivando a influenzarne lo svolgimento». Miniero ha assicurato che non è stato questo il caso e che il rapporto con Poste Italiane è stato guidato solo dall’amore per il cinema. A riprova di questo si è lasciato andare a un aneddoto: «Avevamo una gag già scritta per Benvenuti al sud che si prestava benissimo a diventare un piccolo spot del Postamat. L’abbiamo utilizzato, e il risultato è stato soddisfacente sia per noi che per Poste. Ma io non lo avrei mai inserito nel film se non fosse stato già previsto nella sceneggiatura, se me lo avessero imposto solo per fare lo spot».
Se è vero che spetta sempre e comunque al regista l’ultima parola, forse Luca Miniero è avvantaggiato dal suo passato da copywriter e dall’essere anche regista di spot pubblicitari. «Sicuramente aiuta - spiega - ma non nel senso di digerire meglio le eventuali ingerenze di committenti e produzione. Semmai nel farne buon uso e nell’evitare un risultato distonico con la trama e i personaggi».