Quali sono il ruolo e le effettive funzioni dei titolari del potere gestorio nelle società di capitali? Una domanda che interessa, da decenni, i giuristi d’impresa, sia in ambito civile che penale. A rispondere alla questione, al centro del seminario del master in Diritto Penale dell’Impresa (Midpi) promosso il 30 novembre nella sede milanese dell’ateneo dal “Centro Studi Federico Stella sulla giustizia penale e la politica criminale”, le esperienze professionali di alcuni testimoni d’eccezione, tra cui il presidente del Monte dei Paschi di Siena Alessandro Profumo.
Franco Bonelli, docente di Diritto commerciale dell’Università degli Studi di Genova, ha aperto la tavola rotonda, moderata da Francesco Centonze, docente di Diritto penale alla sede di Piacenza dell’ateneo. Secondo Bonelli fin dall’inizio è delicato il problema della responsabilità di presidenti e amministratori senza deleghe, a cui si rimprovera di non essere intervenuti per impedire la commissione di fatti illeciti da parte di chi gestisce concretamente la società. Infatti, sebbene la giurisprudenza penale sembri aver superato a parole la logica del “non poteva non sapere”, non sempre nelle sentenze si opera una chiara distinzione tra la conoscibilità di un fatto illecito – diretta conseguenza dell’obbligo ex lege da parte degli amministratori di agire informati, ora previsto dall’art. 2381, ultimo comma, c.c. – e la effettiva conoscenza della commissione dello stesso – perché è sulla base di quest’ultima che si dovrebbe fondare la posizione di garanzia degli amministratori senza deleghe ex art. 40, secondo comma, c.p. Inoltre, ha proseguito il professore, non si deve dimenticare come, a seguito della riforma del diritto societario del 2003, gli amministratori siano tenuti ad adempiere i propri doveri, inter alia, «con la diligenza richiesta […] dalle loro specifiche competenze». Elemento, quest’ultimo, spesso trascurato dalla giurisprudenza.
Il General Counsel di Edison Spa Piergiuseppe Biandrino, grazie alla sua quindicinale esperienza, ha evidenziato come gli assetti proprietari influiscano in maniera evidente sul modus operandi del consiglio di amministrazione. Particolarmente utile è stata la suddivisione della vita del gruppo Edison in “quattro diverse stagioni”, mettendo in luce il diverso funzionamento/orientamento del Cda secondo il momento storico. Ad esempio, dal 2005 al 2011, nel corso della “terza stagione”, la joint venture tra la compagine italiana (capeggiata da A2A Spa) e il gruppo francese Edf «diede problemi di governance non irrilevanti tanto che Edison fu, tra le quotate italiane, la prima ad inserire nello statuto gli ambiti di delega dell’amministratore delegato». Quanto all’obbligo ex art. 2381, ultimo comma, c.c., poi, l’avvocato ha posto l’accento sul come, soprattutto dopo essere stati acquisiti dal gruppo francese, gli amministratori di Edison «si ritennero titolari di un diritto di agire informati e quindi pretesero dalla società e dalle suestrutture di essere documentati tempestivamente ed esaustivamente su tutti gli argomenti che venissero portati a loro conoscenza».
Al panel ha poi preso parte la portavoce degli amministratori indipendenti, Rosalba Casiraghi, presidente di NedCommunity, che ha messo in risalto ancora una volta l’importanza della riforma del diritto societario del 2003: «Se torniamo indietro di dieci anni, i Cda erano delle semplici sovrastrutture stabilite per formalizzare le delibere: le decisioni non venivano prese in consiglio - ha affermato -. I consigli si riunivano ma duravano pochissimo tempo e nessuno interveniva perché una parte di consiglieri (facendo parte dell’azionariato di controllo) era già informata e aveva già preso le decisioni; dall’altro lato c’erano semplici figuranti che non avevano voci in capitolo. La riforma – ha proseguito – ha introdotto una netta distinzione tra quelli che sono i poteri/doveri degli esecutivi e dei non esecutivi e quindi si è creata la cosiddetta doppia anima del Cda». Quanto alla realtà odierna però, la Casiraghi ha sottolineato come uno dei problemi fondamentali sia la poca trasparenza sulla selezione e sulla nomina dei consiglieri e, inoltre, come l’eccessiva numerosità degli stessi «riduce l’incentivo di ciascuno ad attivarsi» ed è «un ostacolo alla funzionalità dell’organo amministrativo».
L’intervento conclusivo è stato quello di Alessandro Profumo che, a fronte del suo lungo incarico di amministratore delegato di Unicredit Spa e della sua attuale presidenza del Monte dei Paschi di Siena Spa, nonché del suo ruolo di amministratore indipendente di Eni Spa, ha offerto numerosi spunti di riflessione. Innanzitutto, secondo Profumo, il ruolo del Cda dovrebbe esplicitarsi nelle decisioni strategiche e nella gestione delle persone, ossia «quali sono i meccanismi di selezione, di costruzione dei percorsi di carriera e di compensation». Quest’ultima, per di più, deve essere legata a un altro aspetto fondamentale che deve decidere il consiglio: il profilo di rischio dell’impresa. Poi, oltre che discutere tutti i temi di M&A, deve fare del performance management e, last but not least, deve valutare i processi decisionali della società: un aspetto, quest’ultimo, «che in genere si sottovaluta». Un ruolo di assoluta rilevanza, inoltre, secondo Profumo, è quello che riveste il presidente del Cda «che deve avere un ruolo di raccordo molto complesso, che consenta di capire come costruire il consenso su alcune decisioni, piuttosto che sul cambiare le proposte laddove queste non siano viable da parte degli azionisti». Infine, ha rilevato come sia necessaria una comprensione specifica dei problemi che si vanno a discutere in consiglio e, a tale scopo, «la composizione del Cda è fondamentale perché spesso si discute di tematiche che hanno complessità tecniche anche piuttosto consistenti»: secondo Profumo, la previsione di uno staggared board potrebbe essere la soluzione «per non perdere le competenze del consiglio tutte in una volta».