di Riccardo Redaelli e Andrea Plebani *
Il sedicente Stato Islamico (Is) guidato da Abu Bakr al-Baghdadi diviene, giorno dopo giorno, una minaccia sempre più significativa per l’Iraq e la Siria, ma anche per gli stessi equilibri regionali e internazionali. Dopo essere riuscite a conquistare Mosul nel giugno scorso, le forze del Daesh (altro termine con cui viene indicato il movimento) hanno esteso nel giro di pochissimo tempo la loro influenza su un’area che va dalla Siria centro-orientale sino all’Iraq centrale. Questo risultato è da imputarsi principalmente alle significative capacità operative dei guerrieri neri, dimostratisi in grado di mandare in rotta interi reparti delle forze armate irachene, di mettere in serissima difficoltà gli stessi peshmerga curdi e di colpire con estrema durezza tanto il gruppo dell’insurrezione siriana quanto le forze fedeli a Bashar al-Assad. Il successo dell’organizzazione non si spiega però in soli termini operativi.
A dispetto di quanto predetto da molti analisti, il movimento si è dimostrato estremamente abile, oltre che sul campo di battaglia, anche nella gestione della res publica e delle complesse dinamiche che regolano la società irachena e quella siriana. In questo contesto devono essere lette le alleanze strette con vari attori locali e gruppi dell’insurrezione, ma anche il ricorso indiscriminato alla violenza e al terrore. Questi sono parte integrante della strategia di Is, che non ha fatto mistero di ricorrere a un approccio che potrebbe essere sintetizzato con l’espressione “colpirne uno per educarne cento”. È in quest’ottica che vanno considerati gli attacchi perpetrati contro yazidi, cristiani e sciiti, ma anche le pene inflitte ai cittadini rei di aver violato le rigide norme adottate dal movimento. Una sorte ben peggiore, però, attende chi si macchia di tradimento, come ben dimostrato questa estate in occasione del massacro che si è abbattuto su un’intera tribù siriana accusata di essersi opposta all’autorità di al-Baghdadi.
Ogni giorno che passa rischia di rafforzare sempre più Is e di avvicinarlo all’obiettivo che è insito nel suo stesso nome: la creazione di un vero e proprio Stato. Se la sua reale aderenza all’Islam è fermamente contestata dalla stragrande maggioranza della comunità islamica e dei suoi leader (politici e religiosi), la sua capacità di attrazione e la sua presa sul territorio siro-iracheno diventa più forte ogni giorno che passa, tanto che sono molti gli analisti che ritengano si debba parlare non più di una mera organizzazione terroristica, ma di una realtà proto-statuale con cui si dovranno fare i conti per mesi, se non per anni a venire. Qualora tale scenario dovesse realizzarsi, le conseguenze sarebbero pesantissime. Non solo per l’Iraq e la Siria, ma per l’intera regione mediorientale e per lo stesso Occidente.
* Riccardo Redaelli, direttore del master Aseri in Middle Eastern Studies, docente di Geopolitica e di Storia e istituzioni dell'Asia alla facoltà di Scienze politiche e sociali, direttore del centro di ricerca sul Sistema Sud e Mediterraneo Allargato (Crissma) dell'Università Cattolica; Andrea Plebani, docente di Storia delle civiltà e delle culture politiche, sede di Brescia