L’articolo 3 della Costituzione è un monito che viene dal passato, ma che vale per il presente e anche per il futuro. Lo ha ribadito con ferma convinzione il presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione delle celebrazioni per la “Giornata della Memoria”. E, dell’inserimento nella Carta costituzionale del rifiuto della discriminazione su base razziale, ne ha parlato Vincenzo Satta, ricercatore confermato di Diritto costituzionale alla facoltà di Giurisprudenza, nell’ambito del seminario permanente dei ricercatori “Biancamaria Spricigo” del Dipartimento di Scienze giuridiche, svoltosi lo scorso mercoledì 24 gennaio e dedicato al tema “Principio costituzionale di eguaglianza e razza. Tra dibattito costituente e giurisprudenza costituzionale”.
Dopo aver ripercorso le vicende storiche che hanno condotto, nel nostro Paese, all’emanazione di una legislazione fortemente discriminatoria ai danni delle comunità ebraiche, Vincenzo Satta si è soffermato sull’articolo 3 della Costituzione, che – com’è noto – stabilisce al primo comma il divieto di operare discriminazioni tra situazioni eguali, al quale corrisponde, secondo quanto ha da sempre sostenuto anche la Corte costituzionale, l’obbligo di trattare in modo differenziato situazioni oggettivamente diverse. Il secondo comma dell’articolo 3 sancisce, invece, il dovere della Repubblica di perseguire politiche di eguaglianza in senso sostanziale, finalizzate a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che pregiudicano, di fatto, il pieno sviluppo della persona umana, obiettivo che l’ordinamento giuridico intende rendere effettivo.
La lettura coordinata dei due commi rivela che la parità dei soggetti di fronte alla legge costituisce una condizione necessaria ma non sufficiente affinché libertà ed eguaglianza della persona pervengano a effettiva realizzazione. Pertanto, mentre forme di differenziazione fondate su condizioni personali del soggetto sono espressamente vietate dal primo comma, differenze ragionevoli possono risultare opportune e persino soluzioni obbligate, quando siano funzionali alla rimozione degli ostacoli che impediscono, di fatto, il pieno e libero sviluppo della persona umana.
Tra i fattori di discriminazione che la Costituzione ha preso in considerazione nell’articolo 3, come ostacolo alla piena realizzazione del principio di eguaglianza, è presente anche il riferimento alla “razza”.
Proprio su questo ambiguo concetto si è soffermata l’attenzione del relatore, che ne ha illustrato l’ambivalenza concettuale oltre che la scarsa attendibilità sul piano scientifico. Richiamando, in particolare, le attuali acquisizioni medico-scientifiche, in particolare in ambito genetico, si è osservata l’infondatezza della categoria della “razza”, che purtuttavia continua, anche di recente, a occupare uno spazio nel linguaggio corrente e persino in quello del dibattito pubblico.
Tuttavia, quando il linguaggio in questione è quello giuridico e quando il contesto di riferimento è la Carta costituzionale, diviene urgente per il giurista una rinnovata indagine sulla plausibilità delle ragioni sottostanti le scelte terminologiche attuate dal legislatore costituente e sulla ragionevolezza del loro mantenimento nell’attuale scenario politico-culturale.
Satta ha poi ripercorso il dibattito sviluppatosi in Assemblea costituente circa la necessità di una scelta terminologica a favore dell’inserimento, nell’articolo 3, della parola “razza”. Benché la presenza di questo lemma ritorni costantemente nelle varie formulazioni della disposizione proposte in Assemblea costituente, non mancarono proposte dirette alla sostituzione del suddetto termine con riferimenti più neutrali alla discendenza della persona. Ciò nondimeno, in considerazione dell’implicito richiamo alle vicende storiche, si optò decisamente per la conferma del riferimento alla “razza” come esplicita presa di posizione, simbolica ed ideologica, tesa a rimarcare il rifiuto assoluto e inequivocabile di qualsiasi forma di differenziazione su base razziale.
Pur nella consapevolezza che tale parametro non gode di alcuna attendibilità sul piano scientifico e si presta a strumentalizzazioni in sede di applicazione pratica, il testo costituzionale ha mantenuto nel tempo tale riferimento, tuttora presente nell’articolo 3. Tale scelta conserva il significato profondo di una doverosa assunzione di responsabilità rispetto a fatti storici tragici, a gravissimi atti di disconoscimento del valore della persona umana, che si è preteso di giustificare attraverso il riferimento a provvedimenti “legali” sul piano formale, ma profondamente anti-giuridici sul piano sostanziale. Rispetto a questi fatti, che esprimono il male commesso da uomini nei confronti di altri uomini, il riferimento alla “razza” tuttora leggibile nel testo costituzionale come parametro di non discriminazione conserva il valore di un convinto ripudio di simili scelte offensive e un profondo, perdurante monito a non dimenticare.