«Rischiate, al massimo sbaglierete. Ma siete in tempo. C’è sempre tempo per una scelta di cuore!». È il consiglio di Luigi Pugliese, laureato in Food Marketing e strategie commerciali da due anni, oggi In-Store Account in Lavazza.
La triennale non è stata una passeggiata per Luigi: ha perso tempo e lasciato esami indietro. Ma con la magistrale le cose sono cambiate. Oggi Luigi non ha dubbi: quando si studia qualcosa che piace, diventa tutto più “semplice”. «Passione è la parola con cui posso racchiudere questi due anni, quella passione che leggevo negli occhi di tutti i professori in classe, ed è la stessa passione con cui sono riuscito a laurearmi e a trovare lavoro dopo una settimana dalla discussione della tesi. I professori, in primis, le materie insegnate e il commitment richiesto in ogni singolo corso d’esame, mi hanno fatto capire davvero cosa fosse l’università e cosa volessi alla fine del mio percorso universitario».
Quali sono le competenze che hai maturato in Cattolica e che ritieni siano fondamentali per lo sviluppo della tua carriera? «Non mi ricordo chi tra i miei professori abbia detto questa frase: “Alla fine si deve trattare con le persone”. Non c’è niente di più vero, l’empatia e la consapevolezza dell’altro sono le due armi che più di tutte mi stanno aiutando nel mondo lavorativo. Bisogna mettersi nei panni dell’altro e comprendere i reali bisogni, quando si può spingere per ottenere qualcosa e quando invece si deve lasciar perdere. L’ho imparato in università seduto dietro un banco. Ma l’ho capito sulla mia pelle lavorando tutti i giorni. Capire i bisogni dell’altro: quasi sicuramente sarà stato il professor Sebastiano Grandi a illuminarmi».
La laurea magistrale in Food marketing si caratterizza per un costante interazione tra gli studenti e i protagonisti del mondo del lavoro, anche attraverso i Business game, uno strumento che costringe a mettersi in gioco. «Verissimo! I business Game mi hanno dato la possibilità di sviluppare tutte queste caratteristiche che già avevo, ma che non ero riuscito a comprendere appieno durante la triennale. Mi ricordo quando Ferrero venne a illustrarci il progetto che dovevamo sviluppare sul rilancio del B-Ready, che all’epoca fu un flop. Le gambe mi tremavano quando ci dissero che avremmo esposto il progetto davanti ai loro manager e ai nostri professori, nella sede ad Alba. Ma creare il progetto, discutere con i miei compagni, provare e riprovare cambiando sempre qualcosa per ottenere un obiettivo che tutti noi condividevamo è stata una grande conquista. Di gruppo ma anche personale: nella mia esperienza avevo parlato a un pubblico solo all’esame di maturità e alla discussione della tesi della triennale. Farlo con un progetto davanti a quel pubblico, mi faceva davvero paura. Ma quel salto mi ha come cambiato, ha acceso un interruttore che non si è ancora spento».
Oggi lavori per Lavazza, ma il tuo percorso professionale è cominciato due giorni dopo la laurea. «La mia prima esperienza è stata in Dallara, azienda altamente tecnologica specializzata in materiali quali fibra di carbonio. Lavoravo per il settore Racing e da grande appassionato di corse automobilistiche, non potevo sottrarmi dalla chiamata. Ma era molto lontano dal mondo che mi ero scelto e dopo 6/7 mesi ho capito che il Food era quello che davvero mi appassionava. E, anche grazie al rapporto instaurato con i professori, in particolare con Daniele Fornari e Sebastiano Grandi, sono riuscito a sedermi per un colloquio in Lavazza, dove tutt’ora lavoro come In-Store Account nella zona di Reggio Emilia».
Quali ambizioni professionali ti poni per il tuo futuro? «Oggi il mio lavoro è una fase di passaggio. Sto imparando come funziona il punto vendita, quali strategie adottano dal Headquarter e quali leve posso attivare personalmente sul punto vendita per avere un maggiore spazio espositivo o una diversa gamma di prodotti Lavazza esposti fuori scaffale. Studiando la teoria non si può realmente comprendere quanto sta dietro a un mondo in evoluzione costante. Dopo il Coronavirus poi, alcuni paradigmi sono cambiati e il nostro lavoro è diventato un po’ più delicato, perché alla fine sono a contatto con persone che hanno paura, o che hanno perso qualcuno ma che erano in prima fila comunque, a disposizione dei clienti tutti i giorni».
E in prospettiva? «Lavoro in una multinazionale e non mi pongo limiti. Mi dicessero “Luigi ci servi negli Stati Uniti” il giorno dopo avrei le valigie pronte. Come sarei pronto a un cambio di lavoro per un’opportunità che sappia toccarmi corde diverse».