«Questo racconto è lo studio sincero e spassionato del come probabilmente devono nascere e svilupparsi nelle più umili condizioni le prime irrequietudini pel benessere; e quale perturbazione debba arrecare in una famigliuola, vissuta sino allora relativamente felice, la vaga bramosia dell'ignoto, l'accorgersi che non si sta bene, o che si potrebbe star meglio».
Queste sono le prime parole della prefazione de “I Malavoglia” e dell’intero Ciclo dei vinti verghiano, protagonisti del quarto incontro del ciclo di conferenze “Letteratura e Teatro 2017” (tenuto il 16 Novembre nell'Aula Magna della sede di Brescia) coordinato da Lucia Mor. Del ben noto romanzo ha parlato Maria Teresa Girardi, professoressa di letteratura italiana nella sede milanese dell’Università Cattolica, esponendo i punti focali della storia, accompagnata dalla voce calda e coinvolgente di Sergio Mascherpa, direttore artistico del teatro Le Muse di Flero.
“I Malavoglia” ha inizio con la rottura della statica e immobile vita che conduce la famiglia di pescatori protagonista: la chiamata del maggiore dei figli, ‘Ntoni, alla leva militare. L’atto di uscire dalla casa rappresenta una possibilità di evasione e di perdizione al tempo stesso, che lo porta a bramare l’ignoto e a cercare qualcosa a lui sconosciuto.
In netta contrapposizione al giovane, si staglia la figura di padron ‘Ntoni, suo nonno. Egli è il custode di quella stabilità senza tempo e della saggezza popolare, comunicata tramite proverbi ed espressioni colloquiali. Per l’anziano, la solidarietà del nucleo familiare è fondamentale per garantire il sostentamento della famiglia. Nel primo capitolo, infatti, si può trovare un’interessante metafora: «gli uomini son fatti come le dita della mano: il dito grosso deve far da dito grosso, e il dito piccolo deve far da dito piccolo». Padron ‘Ntoni si macchia, quindi, della presunzione che ognuno debba rimanere al proprio posto, senza possibilità di ascendere nella scala sociale, pena lo stravolgimento dell’equilibrio.
Nell’undicesimo capitolo torna il giovane ‘Ntoni, che nel frattempo ha maturato la decisione di andarsene definitivamente dal paesino, Aci Trezza. Lo scontro tra i due ‘Ntoni che segue alla vicenda mette in scena il contrasto tra la prospettiva dei rappresentanti di due diverse e contrapposte generazioni. Il giovane esterna la propria insofferenza; la sua sensazione è quella di essere una voce fuori dal coro. In questo capitolo compare anche quell’elemento che rappresenta il coro stesso: la massa dei compaesani, che inizia a commentare aspramente la famiglia. Ne consegue il pensiero che la logica collettiva attacchi i vinti, già travolti dalla vita e dalla «fiumana del progresso». Verga non è assolutamente contro il progresso, ma ne denuncia il mito.
I Malavoglia escono nel 1881 in corrispondenza dell’Esposizione Universale a Milano, esempio lampante del mito del progresso. La fiumana è un termine che Verga ripete spesso, riprendendo il secondo canto dell’Inferno dantesco, dove la parola aveva un’accezione negativa: rappresentava infatti qualcosa che poteva condurre alla perdizione. Viene quindi punita la ricerca del meglio, perché è una moderna hýbris, per cui l’uomo osa sfidare lo status in cui è nato.
Alla fine del romanzo, la casa del Nespolo, ovvero la dimora della famiglia, viene riscattata dopo una lunga serie di vicende tragiche, tra cui la morte dello stesso padron ‘Ntoni. Si ha così una conclusione pressoché positiva, nonostante non si tratti di un lieto fine. Secondo un disegno di ciclicità, tutto ritorna all’inizio, sottoposto alla fiumana del progresso.