Come affrontare il picco di influenza che ha colpito milioni di italiani? La risposta può sembrare scontata ma non lo è: mettersi a letto e non fare gli eroi. Parola del professor Roberto Cauda, direttore della Clinica delle malattie infettive della facoltà di Medicina e chirurgia della sede di Roma dell’Ateneo. «In un soggetto in discreta salute la gestione dell’influenza va fatta al proprio domicilio» afferma l’infettivologo, secondo cui «la terapia farmacologica non è molto popolare per una malattia benigna che dura al massimo 5/6 giorni (3/4 con la febbre)».
Eppure molte persone affollano il Pronto soccorso. «Al Pronto soccorso dovrebbero rivolgersi solo soggetti per cui la malattia potrebbe avere un decorso pericoloso, come nel caso di persone che non si sono vaccinate pur essendo a rischio (cardiopatici, persone con malattie croniche, anziani over 65, personale medico/sanitario…). In questi casi bisogna stare attenti a evitare di contrarre infezioni peggiori di natura batterica, come le polmoniti. Niente antibiotici, dunque, per l’influenza, data la sua origine virale, a meno che non ci siano altre malattie sottostanti. Oppure nel caso rischi di aprire la porta ai batteri, per i quali la cura antibiotica è necessaria».
Sarà un caso, ma perché il picco dell'influenza si manifesta sempre intorno alle feste di Natale? «Il picco dell’influenza nel nostro emisfero è il periodo invernale perché, complice il raffreddamento, che diminuisce l’immunità locale nelle vie aeree, i virus attecchiscono più facilmente. E perché la vita condotta negli ambienti chiusi, molto più che in altre stagioni, facilita il contagio».
Quando si può parlare di influenza? «Usiamo convenzionalmente questo nome per le infezioni respiratorie acute in presenza di un numero di casi alto in un tempo abbastanza breve, con sintomi cosiddetti influenzali».
Come si fa a rilevarla? «L’Italia ha uno dei sistemi di sorveglianza sull’influenza migliori al mondo. Un sistema “molto intelligente” e consolidato: Influnet poggia su osservazioni di medici di base “sentinella” presenti sul territorio, che hanno sentore di quando c’è un aumento dei casi di infezioni respiratorie acute. Sono queste “antenne” che trasmettono a Influnet i dati che, analizzati, permettono di capire quando, da un rumore di fondo, si arriva a un’analisi clinica di influenza. A questo sistema se ne associa uno di osservazione microbiologica».
Come si manifesta l'influenza di quest'anno? Come riconoscerne rapidamente i sintomi? «Quella di quest’anno non è molto diversa da quella degli anni passati, anche se è certa una maggiore gravità dovuta a qualche piccola variazione dei virus che ha aggravato il quadro generale con disturbi intestinali più diffusi. Gli altri sintomi sono classici: febbre elevata, spossatezza, dolori alle ossa, prostrazione, brividi, perdita dell’appetito, mal di gola, bruciore alla trachea, tosse secca».
Quando rientrare in comunità? «La contagiosità è maggiore nella fase precedente: quando non ci sono più i sintomi, si può tornare in mezzo agli altri, sul lavoro o a scuola».
Quanto è importante vaccinarsi? Chi dovrebbe farlo? «Quest’anno si sono diffusi due virus di tipo A (H1N1 e H3N3) e due di tipo B. In base a quello che è circolato nell’altro emisfero abbiamo potuto prepararne due tipi, uno trivalente e uno quadrivalente. Chi deve farlo? Quelle categorie di persone a rischio di cui parlavo prima. L’obiettivo non è interrompere la trasmissione ma evitare la pericolosità».
Perché non tutti lo fanno? «I vaccini, insieme agli antibiotici, hanno di fatto allungato la vita media delle persone. È difficile comprendere perché le popolazioni non vogliano vaccinarsi. Io ho una spiegazione psicologica, per esempio sull’antinfluenzale: siccome a ottobre spesso c’è ancora un bel clima, perché devo pensare all’influenza? Lo stesso vale per le altre vaccinazioni…».
Adesso è ancora utile farlo? «Si fa di solito da metà ottobre a metà dicembre. Adesso non è inutile farlo ma bisogna sapere che gli effetti benefici saranno tra 15 giorni. E quindi potremmo essere a rischio».