Venerdì 18 marzo, presso l’ Università Cattolica del Sacro Cuore si è tenuto il convegno “L’educatore: un professionista riflessivo per lo sviluppo delle persone e della società”. È stata l’occasione per fare il punto su professioni che hanno un ruolo sempre più rilevante nella nostra società a fronte di un contesto sociale che penalizza i bambini e gli adolescenti, ma pone difficoltà anche agli adulti e agli anziani, in modo particolare a quelli che appartengono alle fasce sociali più deboli. Le professioni dell'educatore e del pedagogista, nel contesto italiano, hanno radici antiche e nel corso degli anni si sono confrontate in modi sempre diversi con l'evoluzione della società, dei bisogni educativi e sociali e delle problematiche emergenti.
La complessità con cui gli educatori si misurano nella pratica quotidiana ha rivelato progressivamente l'insufficienza di un modello assistenziale o volontaristico del lavoro socio-educativo e fatto emergere nuove culture e nuovi modelli di educazione, accompagnati da una sempre più ricca produzione scientifica e di riflessione rivolta alle figure educative e dal ripensamento della loro formazione sia iniziale sia in servizio. Per questo si sente l’urgenza di una legge che riconosca l’importanza delle professioni pedagogico-educative e che stabilisca in modo chiaro gli ambiti di competenza e i percorsi formativi ad essi riservati. Ne hanno parlato le onorevoli professoresse Vanna Iori e Milena Santerini (si veda intervista), rispettivamente prima firmataria e relatrice del disegno di legge 2656 “Disciplina delle professioni di educatore e di pedagogista”, e la professoressa Livia Cadei (tutte docenti di Pedagogia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore). Il mondo in cui i professionisti dell'educazione operano è caratterizzato da grande complessità. Le situazioni educative sono state definite come “situazioni problematiche aperte” in cui i protagonisti si trovano a prendere decisioni in contesti mutevoli che richiedono loro un elevato impegno riflessivo e che non si adattano a risposte procedurali e standardizzate.
A fronte di queste richieste, il debole riconoscimento sul piano sociale, giuridico ed economico di cui soffre l'educatore oggi in Italia fa emergere in modo ancora più marcato la fragilità di un profilo professionale al quale, d'altro canto, è affidata una grande responsabilità nei confronti dei soggetti più deboli e più a rischio nella nostra società. Questo contrasto non è privo d’implicazioni per la cultura dell'educazione, in modo particolare per quanto riguarda l'identità professionale, la motivazione, la padronanza degli strumenti del proprio lavoro, la relazione con gli utenti e con le istituzioni.
Sempre più spesso gli educatori sono chiamati a rispondere a complessi bisogni che per essere soddisfatti richiedono nuove abilità professionali e nuove teorizzazioni. È necessario, quindi, ripensare i contesti d’intervento, il ruolo professionale e le funzioni degli educatori, le metodologie da essi impiegate, ma ancora prima è necessario sviluppare un pensiero e una cultura pedagogica adeguati alle nuove sfide educative. Il lavoro educativo si qualifica per la possibilità di mettere in dialogo le conoscenze tacite, nate dall’interazione tra operatore, partiche professionali e conoscenze formali, tra ciò che implicitamente guida l’operatore e la consapevolezza di come questo avvenga. Questo è possibile attraverso il processo riflessivo. L’educatore non ha soltanto il compito di agire in situazioni di bisogno, è un professionista a cui viene chiesto di ripensare contestualmente il proprio agire e di definire/ridefinire il proprio paradigma epistemologico di riferimento.
L’educatore deve imparare a “pensarsi” sia dentro le pratiche in cui si gioca come operatore impegnato in processi di costruzione e sperimentazione di nuovi repertori di azione sia oltre le pratiche, in spazi di auto riflessione dove diventa possibile sottoporre a revisione le istanze, le motivazioni e le premesse che sottendono le diverse forme e i diversi modi che gli educatori hanno di interpretare il proprio ruolo professionale in determinati contesti. In questo modo gli educatori potranno esercitare una professionalità consapevole, critica, riflessiva, che consente loro di co-evolvere con le situazioni in cui sono implicati, contribuendo alla costruzione della società di domani; una società più giusta, in grado di offrire a ciascuno la possibilità di mettere in gioco i propri talenti, sostenendo chi si trova, anche solo momentaneamente, in difficoltà; una società inclusiva che permetta di abbattere i muri della solitudine e della diffidenza per far nascere comunità accoglienti.
*Professore ordinario di Pedagogia generale e sociale