Passione e vitalità: sono le costanti che caratterizzarono tutte le attività del romanziere e drammaturgo latino-americano Jorge Amado (Itabuna, 1912 – Salvador de Bahia, 2001) che, nella sua vita così come nella sua produzione letteraria, riversò sempre energia, sentimento e passionalità. Il profondo amore per la sua nazione fu alla base dell’impegno sociale e politico che ispirò i suoi primi romanzi e che trovò il suo supporto in una vita di militante di sinistra; a causa della sua adesione al comunismo fu più volte condannato al carcere e all’esilio, ma infine fu eletto deputato del Partito Comunista brasiliano. Amado si affermò giovanissimo con O pais do carnaval (1913), in cui già si delinea la sua fisionomia di narratore realista dal tono ironico, legato alla gente e ai problemi della terra bahiana; seguirono poi opere come Cacau (1933) e Suor (1934) che contribuirono alla fama dello scrittore brasiliano che, dopo un primo distanziamento dal quel genere di romanzi, non evitò di trattare temi scottanti come quello della schiavitù nelle favelas. Successivamente, il colorito linguaggio folkloristico si è andato temperando, grazie all’introduzione di strumenti espressivi della tradizione classica fusi in un sincretismo culturale e religioso volto ad accomunare tutti i suoi conterranei. Con Gabriela, cravo e canela (1958) Amado ha avviato una nuova fase di romanzi “non impegnati”, di sorridente vena lirica, principalmente incentrati su figure femminili: tra questi spiccano Dona Flor e seus dois maridos (1966), Teresa Batista cansada da guerra (1972) e Farda, fardão, camisola de dormir (1980).
A presentare l’interessante personalità di questo importante scrittore brasiliano è stato Dante Liano, docente di Lingua e letterature ispano-americane all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, ospite del sesto incontro della serie Teatro 2010 che si è svolto giovedì 2 dicembre nell’Aula Magna Tovini; in questa conversazione a due voci ha preso parte anche l’attrice Maria Alberta Navello che ha letto alcuni estratti del romanzo Donna Flor e i suoi due mariti.
All’inizio di ciascuna parte del romanzo, che presenta un ritratto malinconico e nostalgico dei quartieri popolari bahiani nei primi anni ‘60, il lettore può seguire una divagazione di cucina bahiana, tratta dalle ricette o dalle lezioni della protagonista Flor, che si è dovuta improvvisare maestra di cucina per motivi economici. La vicenda inizia con la morte di Vadinho che, dopo una vita scapestrata e dissoluta, muore improvvisamente durante una festa di carnevale, lasciando vedova Flor, moglie devotissima e sinceramente innamorata, ma costantemente in ansia per la deplorevole condotta di vita del marito. Nel corso della prima parte, viene tratteggiata la relazione fra Flor e Vadinho mediante una vivace analessi in cui emergono i tradimenti, le fughe e gli stravizi del marito che molto raramente visse momenti di fortuna e di gloria. La seconda parte, invece, riporta il lettore a un presente amaramente sereno in cui è calata la quotidianità tranquilla e ordinata della vedova che, in un primo momento pudica, composta e misurata, soffoca in ogni modo il desiderio di un nuovo possibile rapporto carnale che poi però instaura con un farmacista morigerato e religioso. Pur essendo molto premuroso e attento nei riguardi di Dona Flor, l’attuale compagno non la soddisfa completamente e, nella mente di lei, non regge il confronto con il compianto Vadinho. Nella terza e ultima parte dell’opera, la vicenda prende una piega fantastica, nel momento in cui Vadinho ritorna sulla terra in forma spirituale per attirare nuovamente l’attenzione di sua moglie che è l’unica persona in grado di vederlo; Vadinho, seppur come spirito, riesce a soddisfare sia mentalmente che fisicamente tutto il desiderio di passione che investe Dona Flor, la quale non sa proprio decidere se rimanere fedele al nuovo consorte, più mite e modesto, o se cedere allo spirito del primo, decisamente più passionale e vivo. Quella di Flor è proprio una condizione di saudade, una sorta di ricordo nostalgico di un bene ormai assente che desidera riavere e rivivere; proprio come le pietanze che prepara durante le lezioni di cucina, i sogni della vedova malinconica ardono a fuoco lento per poi essere consumati.
Con quest’opera Amado opera il passaggio definitivo verso l’amore per la vita che si manifesta come desiderio nel corpo e del corpo che è considerato come parte inscindibile dall’anima; l’amore non può essere pensato senza il corpo nel quale può spiegare tutta la sua potenza. Per questo motivo il possesso fisico del proprio amante è indispensabile – e gli scritti di Amado lo testimoniano in modo inequivocabile; la concezione dell’amore nella cultura ibero-americana affonda le proprie radici in quella araba, nella cui poesia spetta alla donna l’intrigante e ammaliante compito di sedurre l’uomo, ruolo diametralmente opposto a quello di icona venerabile e mirabile che solitamente compete alla figura femminile in buona parte della letteratura occidentale. Rispetto a quest’opera i critici letterari si dividono: alcuni ritengono che rientri nel filone del realismo magico, altri in quello mitico. Pur facendo riferimento entrambi a una dimensione soprannaturale, questi due termini hanno connotazioni diverse; la magia è un’operazione concreta volta ad ottenere effetti sul reale, mentre il mito è una spiegazione narrativa fantastica di fenomeni naturali che scientificamente non potrebbero essere giustificati. Sulla base di questa distinzione, si può quindi affermare che la produzione di Amado appartiene al realismo magico con diverse storie che spiegano il misterioso mondo latino-americano, il cui immaginario fantastico e meraviglioso si coglie anche nella semplice quotidianità. Lo scrittore dovrebbe limitarsi a rappresentare la realtà per quella che è, senza finzione alcuna, giacché questa basterebbe a ricreare tutta la bellezza che la connota. L’approccio di Amado è simile a quello di Gabriel García Márquez, considerato il maggior esponente del realismo magico in narrativa, che vorrebbe porsi come fotografo della realtà, anche se incapace di rendere appieno quanto sia meravigliosa; la storia reale supera l’immaginazione, sembra stregata da un incantesimo di tradizioni, credenze e misteri che, nella loro normalità, la rendono magica. Dona Flor e seus dois maridos è quindi un capolavoro ascrivibile alla letteratura della vera vita, in cui la sensualità non si risolve semplicemente nell’edonismo, bensì è espressione concreta della rivalutazione del corpo quale manifestazione della sete di vita dei popoli ibero-americani che, nonostante le loro difficoltà, vincono sempre in vitalità, bellezza e passione.