Come Thomas Beckett a Canterbury, come Oscar Romero a San Salvador. Monsignor Juan Gerardi Conedera, il vescovo ausiliare di Città del Guatemala di origini venete, fu trovato il 26 aprile 1998 col cranio fracassato in una pozza di sangue, in una strada della capitale. Aveva presentato solo qualche giorno prima il rapporto Guatemala nunca más da cui emergevano le responsabilità dell’esercito guatemalteco nell’omicidio, nella tortura e nella sparizione di oltre duecentomila civili durante il mezzo secolo di conflicto armado interno che aveva sconvolto il paese. Sul suo assassinio ha fatto luce l’indagine dello scrittore nord-americano di origini guatemalteche Francisco Goldman L’arte dell’omicidio politico.
A raccontare al pubblico dell’aula Gemelli lo scorso 16 marzo gli antefatti e gli sviluppi di quell’episodio centrale nella storia del Guatemala è stato il professor Dante Liano, con la passione di chi quella storia l’ha vissuta in prima persona. Docente di Lingua e letterature ispano-americane in Cattolica, il professore è infatti nato in Guatemala, dove ha vissuto e lavorato anche durante gli anni in cui governi militari di estrema destra, insediatisi a seguito all’intervento armato voluto dal maccartismo statunitense nel 1954, erano impegnati a cancellare la breve esperienza democratica del paese, favorendo il reinsediamento dell'oligarchia predatoria e reprimendo nel sangue ogni forma di dissenso. In un quadro politico così conflittuale e violento, il maggiore movimento di opposizione, oltre a quello marxista, fu quello cattolico: le diocesi, già per il solo schierarsi in favore dei poveri, furono perseguitate dai governi militari; la democrazia cristiana locale venne bollata col termine di “comunismo bianco” (segno della potenza delegittimatrice delle tecniche di labelling); infine, alcuni movimenti cattolici finirono per confluire in gruppi di guerriglia, i quali, assieme alle altre forze della resistenza, furono coinvolti in un conflitto civile che avrebbe devastato il paese per sessant’anni, fino agli accordi di pace degli anni novanta. Durante questi anni terribili il vescovo Gerardi aveva già sfidato le gerarchie militari chiudendo la tormentata diocesi di Quichè e chiedendo aiuto a Giovanni Paolo II, la cui lettera di protesta al governo guatemalteco costò al vescovo più di tre anni di esilio in Costa Rica.
Gli accordi di pace, siglati nel 1996, si fondavano su una legge di amnistia e sulla istituzione di una Commissione d'inchiesta, gestita dalle Nazioni Unite che, pur avendo il compito di fare chiarezza sulle violenze che avevano caratterizzato il periodo precedente, disponeva di limitati poteri di indagine e soprattutto non poteva procedere a una ricostruzione delle responsabilità individuali. Era inevitabile che, dal lavoro della Commissione non potesse che scaturire una verità parziale, incapace di sanare le ferite della campagna di terrore dei militari. Per ovviare a queste carenze la Chiesa Guatemalteca si assunse l'impegno di redigere un rapporto indipendente, che indicasse chiaramente i responsabili dell’uccisione di centinaia di migliaia di persone - più di 40.000 desaparecidos e 400 villaggi rasi al suolo assieme ai propri abitanti -. I dati raccolti confluirono appunto nel rapporto Guatemala: nunca mas, della cui redazione il vescovo Gerardi Conedera era stato nominato responsabile.
Due giorni dopo la presentazione, Gerardi venne assassinato nella centrale chiesa di San Sebastian. Dante Liano ha accompagnato il pubblico nell’intricata vicenda processuale scaturita da questo episodio, contraddistinta dai tentativi di una magistratura, connivente con il potere politico e le strutture militari, di creare una realtà alternativa, costruita ad arte, fatta di relazioni omosessuali e figli illegittimi. La verità verrà fuori solo grazie all’impegno di persone coraggiose, tra cui lo stesso Francisco Goldman e un esemplare procuratore, il fiscal Leopoldo Zeissig.
Il professor Liano ha spiegato come sia necessario che l’indagine sulla morte del vescovo Gerardi prosegua fino ad accertare la responsabilità dei mandanti dell’omicidio, tuttora impuniti. In una vicenda che racchiude in sé innumerevoli elementi e variabili di interesse criminologico, socio-politico, storico e giuridico, le indagini e il processo, oltre ad aver cercato di far luce sulle dinamiche che mossero le gerarchie militari guatemalteche, hanno forse accorciato le uniche distanze che in questi casi ha senso misurare: non quelle geografiche o storiche, ma quelle insostenibili che separano sempre l’uomo dal diritto, la società dalla legalità.