Nonostante l’ampio numero di casi di riciclaggio in aziende dell’economia legittima da parte di gruppi della criminalità organizzata (dalle mafie italiane alla criminalità russa, cinese o legata ai bikers del Nord Europa), il progetto OCP, ha evidenziato un numero ancora limitato di imprese confiscate in Europa.
Secondo le statistiche raccolte dallo studio, infatti, la maggior parte delle confische in Europa si concentra su beni mobili (come contante e conti correnti), veicoli e imbarcazioni e, in misura molto minore, proprietà immobiliari. È quasi del tutto assente la confisca di aziende e di titoli societari.
Fa eccezione l’Italia, che il rapporto OCP conferma essere lo Stato europeo più avanzato dal punto di vista del contrasto ai patrimoni criminali. Solo nel nostro Paese, dal 1983 ad oggi, sono giunti a confisca definitiva quasi 2.000 imprese, strappate nella maggior parte dei casi a organizzazioni mafiose nostrane (Camorra, Cosa Nostra, ‘Ndrangheta, etc) ma anche a gruppi stranieri come per esempio la criminalità organizzata cinese.
I motivi per cui gli altri paesi Europei non confiscano aziende sono, secondo gli autori del rapporto, molteplici: certamente in parte potrebbero essere imputati a un livello inferiore di infiltrazioni criminali, anche se, come evidenziato dal progetto, gli interessi della criminalità organizzata in imprese sono numerosi e ramificati in tutta l’Unione Europea, e non solo in Italia.
Il rapporto mette in luce carenze dal punto di vista investigativo, normativo e gestionale.
In primo luogo, si sottolinea come in molti paesi europei vi siano ancora numerose difficoltà nel tracciare e identificare le attività criminali. Un più ampio utilizzo di strumenti informatici e banche dati (per esempio di registri delle imprese transnazionali), l’attivazione di corsi di formazione o workshop tra gli investigatori europei migliorerebbero le capacità investigative delle autorità europee e l’identificazione delle aziende controllate dai gruppi criminali o utilizzate per riciclare denaro sporco.
Sarebbe anche necessario, a detta degli autori, un ampliamento dell’«arsenale» normativo degli altri Paesi europei in tema di confisca: sebbene l’introduzione della Direttiva 2014/42/Ue avvicinerà la normativa di molti Paesi dell’Unione a quella italiana, è auspicabile un deciso passo in avanti in ambito, ad esempio, di confisca allargata e preventiva.
In terzo luogo, il rapporto evidenzia come il potenziamento della confisca delle aziende passi anche dal miglioramento della loro gestione, una volta confiscate: in molti Paesi Ue - dicono gli autori - non si confisca perché non si saprebbe come gestire l’azienda una volta entrata nella proprietà dello Stato. Mancano organismi deputati (solo alcuni paesi dispongono di un Asset Management Office) o figure professionali specializzate nella gestione dei beni sequestrati, come i nostri Amministratori giudiziari. D’altra parte anche i Paesi che già dispongono di questi soggetti potrebbero ancora migliorare la gestione delle aziende confiscate, minimizzandone la dispersione.
Il rapporto OCP infine rivela come, nonostante sia all’avanguardia rispetto al resto d’Europa, anche l’Italia possa rendere ancora più efficace il contrasto ai patrimoni criminali, e in particolare alle aziende infiltrate. Innanzitutto estendendo l’uso delle misure patrimoniali anche nei confronti delle organizzazioni criminali straniere che investono nel nostro paese (dalle mafie cinesi a quelle russe/georgiane), mentre fino a oggi ci si è concentrati quasi esclusivamente sulle mafie italiane. E quindi esplorando tutti gli strumenti alternativi alla confisca messi a disposizione dal legislatore italiano, dalla sospensione temporanea dell’amministrazione aziendale (prevista dall’art. 34 del Codice Antimafia) ai presidi di tipo amministrativo (come le interdittive prefettizie). Secondo gli autori del rapporto OCP, un uso più ampio di questi strumenti alternativi in Italia consentirebbe degli interventi meno invasivi e più “chirurgici”, e ridurrebbe anche il rischio che le imprese, una volta confiscate, possano deteriorarsi ed andare incontro al fallimento, con evidenti effetti negativi sull’occupazione e l’economia locale.