«La letteratura, per dirla con Pasolini è come le salmerie di un esercito che è la Storia: raccoglie le spoglie che questo esercito lascia dopo il proprio ineluttabile passaggio». Con queste parole Gabrio Forti, nuovo preside della facoltà di Giurisprudenza ha introdotto lo scorso 28 ottobre, il primo seminario del ciclo “Giustizia e letteratura”, promosso dal Centro studi “Federico Stella” sulla Giustizia penale e la Politica criminale (Csgp), giunto alla seconda edizione. Un percorso molto sviluppato nelle università americane, che parte da un assunto: la letteratura è riflessione e comprensione del mondo e permette al giurista di affinare la propria sensibilità in merito alla tematica nevralgica dei suoi studi e della sua professione: la giustizia. Per questo, secondo il preside, è importante che anche gli studenti delle facoltà giuridiche acquisiscano fin dai primi anni di università un senso di giustizia sempre più profondo che si può coltivare anche grazie alla letteratura.
Al centro del primo incontro “La presunzione di colpevolezza come difesa del branco”. Il caso Dreyfus: risonanze letterarie francesi: 1896 – 1930. A parlarne sono stati Matteo Caputo, ricercatore di Diritto penale, Marisa Verna, docente di Letteratura francese, e Remo Danovi, avvocato del foro di Milano ed ex presidente del Consiglio nazionale forense.
A delineare i contorni e gli intrecci del clamoroso errore giudiziario che ha investito il capitano di artiglieria Alfred Dreyfus, condannato nel 1894 per tradimento e riabilitato nel 1906 al termine di una tormentata serie di passaggi processuali, sociali e politici, è stato Matteo Caputo: «L’ingiusta condanna dell’ufficiale ebreo-alsaziano fece da detonatore ad avvenimenti di importanza epocale per la società occidentale: accelerò la separazione fra Stato e Chiesa in Francia e la diffusione dell’antisemitismo in forma moderna. Non solo: anche grazie al celebre J’accuse di Emile Zola, segnò l’avvento della figura dell’intellettuale impegnato e l’emersione del quarto potere, perché il caso costituì la prima grande battaglia politico-giudiziaria condotta attraverso i mezzi di comunicazione».
Marisa Verna ha proseguito sottolineando i tòpos della letteratura di quel periodo in Francia: un ebreo che pensa solo al denaro, vive nel proprio clan e, soprattutto, è disumanizzato. «L’ebreo è un robot aculturale, nella migliore delle ipotesi è un usuraio come negli scritti di Balzac o dello stesso Zola, prima del 1896». La storia degli ebrei nella Francia di fine XIX secolo era infatti scissa fra quelli assimilati e non: e Dreyfus appartenne senza dubbio ai primi. La docente di Letteratura francese ha poi concentrato il proprio intervento sull’opera di Marcel Proust, nella quale la vicenda di Dreyfus viene descritta in tutta la sua complessità, senza che al lettore sia possibile collocare la posizione ideologica dell’autore, che pure fu un convinto “dreyfusardo”. Tale era infatti per Proust la missione della letteratura: permettere al lettore di conoscere il reale e di porsi domande su di esso, senza che l’arte ne fornisse di preconfezionate.
I molteplici profili giuridici della vicenda sono stati illuminati dall’avvocato Danovi, che ha messo in risalto i tempi rapidissimi delle fasi processuali dell’affaire, stridenti con le lungaggini odierne, ma anche con il sistema di garanzie del processo accusatorio. L’avvocato ha tracciato un excursus sull’elevato profilo deontologico dei difensori di Dreyfus durante un’istruttoria inficiata da gravi scorrettezze da parte dei funzionari dell’esercito francese. «In questo processo - ha sottolineato Danovi - ci troviamo di fronte a un rovesciamento del principio costituzionale della “presunzione di non colpevolezza”», che ha reso necessaria «la coraggiosa testimonianza di altissimo valore morale e civile di autori come Zola, capace di trasformare una questione giudiziaria in un caso etico prima ancora che politico». «I capri espiatori – ha concluso Danovi - costellano la storia dell’umanità: Giordano Bruno, Giovanna d’Arco, Galileo, Sacco e Vanzetti, etc. Non ci si deve stupire che sia avvenuto il caso Dreyfus, ma che ciclicamente tali vicende si ripetano in modo tragicamente analogo».
L’insegnamento che può essere tratto dall’Affaire Dreyfus riguarda la necessità di non sottrarsi al dovere morale di perseguire la verità e la giustizia in ogni campo del vivere. Gabrio Forti, citando l’insegnamento del suo maestro, il professor Federico Stella, ha osservato come, al cospetto del disfacimento della società civile e delle istituzioni, l’unico rimedio sembri essere il riappropriarsi di un’etica personale contraria ai pregiudizi e attenta alla testarda sostanza dei fatti.
Il programma del ciclo ( KB)