«Molto è stato fatto ma la strada è ancora lunga». È attorno a quest’affermazione che si è snodato l’intervento di David Fowler a Brescia. Invitato insieme a più di cento studiosi provenienti da quindici paesi europei, il direttore del Centro per l’Ecologia e l’idrologia di Edimburgo ha tenuto un seminario divulgativo sui cambiamenti climatici e l’inquinamento atmosferico il 26 ottobre nella sede di via Musei.
“Il ruolo della superficie. Ricambio atmosferico nei cicli biogeochimici globali”. Questo il titolo della conferenza durante la quale il professor Fowler ha sottolineato i progressi della scienza nell’analisi degli elementi inquinanti dell’aria negli ultimi trent’anni. «Grazie al monitoraggio europeo delle polveri sottili e gli interventi per fronteggiare le emissioni industriali, la concentrazione di zolfo nell’aria in Europa è diminuita del 10%. In Regno Unito, a distanza di trent’anni è quasi sotto il livello medio consentito dall’Unione Europea». È entusiasta, seppur cauto, il chimico inglese quando sottolinea che la minaccia principale per l’uomo e la vegetazione rimane l’ozono. È proprio quest’ultimo a causare 20.000 morti e 20 milioni di giorni di degenza ospedaliera ogni anno, ma l’effetto letale è silenzioso e non riscontrabile immediatamente: «Le particelle d’ozono disperse nell’aria riducono l’aspettativa di vita di mesi».
Due sono i requisiti fondamentali per portare avanti la ricerca: «Capire il problema e avere il supporto della politica per risolverlo». È importante infatti «teorizzare i processi d’inquinamento, sviluppare dei modelli per comprendere il rapporto fra agenti inquinanti e fragilità dell’ecosistema e inventare delle fonti alternative». Parole molto chiare che nascono dall’esperienza sul campo del professore che non lesina piccole critiche al sistema di potere e al sensazionalismo attorno ai dati sviluppati dai media: «Bisogna capire non tanto in che percentuale s’inquina l’aria ma quanta gente può essere colpita. C’è un grosso potenziale ancora inespresso nell’osservazione dei fenomeni».
L’Europa può ritenersi fortunata: «Il nostro continente è sotto controllo rispetto ad altri, ma la gran parte delle emissioni che ci colpiscono provengono dal Nord America e dalla Cina». Ciò perché in tempo di crisi si tende a favorire le industrie e l’economia a discapito dell’ambiente.
Laureato nel 1972, lo studioso inglese ha iniziato ad operare nel settore in un periodo in cui non vi era alcuna regolamentazione internazionale. «Nel 1970 gran parte del Nord Europa, cuore industriale del continente, era tormentato da ingenti quantità di agenti inquinanti nell’atmosfera. Ci si è chiesti il perché. Da qui è partita l’analisi del fenomeno con campionamenti sul territorio». A distanza di anni la situazione è migliorata: «Molte città, come Londra o Parigi, sono più pulite ma pensando al passato oggi ci sono molte più domande che necessitano di una risposta».
L’incontro aperto al pubblico ha seguito il kick-off meeting, tenutosi lunedì 24 ottobre nel Centro Pastorale Paolo VI, del progetto di studio europeo Èclaire (Effetti dei cambiamenti climatici sull’impatto dell'inquinamento atmosferico e strategie di risposta per gli ecosistemi europei), di cui il dipartimento di Matematica e fisica della Cattolica è partner per l’Italia con il Consiglio nazionale delle ricerche e che ha visto occupati gli accademici, riuniti in 39 gruppi di ricerca, dal 24 al 27 ottobre.