di Giuseppe Langella *
Quando Pomilio decise di raccogliere, sotto il titolo di Scritti cristiani, alcuni fra i suoi interventi più lucidi e pensosi sulla Chiesa del Concilio e sulle inquietudini dell’uomo contemporaneo, all’incrocio tra esame di coscienza e polemica culturale, tra diagnosi storica e tensione profetica, non si era ancora spenta la vasta impressione suscitata dall’uscita del Quinto evangelio […].Dopo il 1979 gli Scritti cristiani non furono più riproposti in libreria, benché da più parti e a più riprese […] ne sia stata sottolineata l’oggettiva importanza, e non solo in senso strumentale, per quel tanto, cioè, che ci possono svelare della poetica e della visione del mondo del Pomilio narratore. In compenso, essi rivedono oggi la luce in un’edizione considerevolmente accresciuta, che fa salire a venticinque il numero complessivo dei capitoli, affiancando a quelli della princeps altri dieci interventi usciti in ordine sparso su vari periodici e un testo inedito. […]
Tra gli undici «accrescimenti» della seconda sezione merita una menzione speciale il testo di una conversazione tenuta in Università Cattolica nel 1979, intitolata Dio nella società d’oggi, che non contiene soltanto una penetrante radiografia in controluce della civiltà contemporanea, ma anche un bilancio acuto e persuasivo della fervida stagione conciliare e dei cambiamenti durevoli che quella energica ventata dello Spirito aveva innescato in seno a una Chiesa uscita «ringiovanita» dal Vaticano II e decisa più che mai a riannodare col mondo moderno un dialogo troppo a lungo interrotto. Pomilio è stato senza dubbio il nostro maggiore scrittore cattolico dell’età postconciliare, così come, probabilmente, Ignazio Silone è stato il maggior interprete del disagio e delle attese poi sfociate nel Concilio.
Negli Scritti cristiani si avverte l’atmosfera frizzante sprigionata da quell’evento eccezionale, e nella seconda serie, anzi, la si respira a pieni polmoni. In questa zona, del resto, compare fra l’altro un articolo del gennaio 1976, intitolato La cultura cristiana dimentica le origini, che è, in maniera del tutto esplicita, un bilancio del Concilio a dieci anni dalla sua chiusura. Pomilio lo celebra come «una delle più straordinarie e inaspettate rivoluzioni spirituali del nostro tempo, certo la più coraggiosa, visto il fervore che ha suscitato, i lieviti che in ogni caso ha messo in circolazione, l’aria di nuova giovinezza penetrata nel mondo cattolico».
[…] Sovvertendo il luogo comune che voleva l’istituzione ecclesiastica dogmatica e bigotta, i padri conciliari avevano dimostrato, al contrario, di essere pronti a «dialogare» con tutti «senza complessi»; dando prova, con queste aperture, di una vitalità e di un dinamismo che invece erano mancati alle ideologie secolari, ingessate nella loro dottrina e quasi del tutto incapaci di mettersi criticamente in discussione. Da un capovolgimento di quella portata sarebbero scaturite delle conseguenze abbastanza clamorose, che Pomilio registra puntualmente in Dio nella società d’oggi; due su tutte, per certi versi, guardando al passato, persino paradossali: l’avanzamento del cristiano su posizioni d’«avanguardia» culturale e l’offrirsi della fede non più quale «approdo consolatorio» o esibizione di «certezze», ma in quanto «tensione inter-rogante».
Peraltro, su questo specifico argomento si veda anche quanto Pomilio aveva già scritto nel suggestivo L’apartheid di Dio: «Ciò che autentica l’atto di fede è da sempre il quantum di tensione che esige da parte nostra, è lo spazio che esso lascia alle interrogazioni, agli slanci, alle perplessità. […] Dio per il cristiano d’oggi non è il rifugio all’insicurezza, ma uno stimolo al rischio, non è la soluzione, ma il problema dell’uomo […]. Pensandoci bene, a dispetto del dogmatismo e del fideismo che si rimproverano al Cristianesimo, le tranquille certezze ideologiche e filosofiche sono tutte presso i settori che hanno cancellato dal loro orizzonte le esigenze metafisiche e si sono chiusi, essi sì, in un dogmatismo del diniego e in un agnosticismo che preferisce elidere i problemi e postula, al limite, un mare di coscienze tranquille, di coscienze pacificate. Al confronto quello cristiano, almeno da qualche decennio a questa parte, è tutto mosso e fermentante e magari, certo, tutto rischi, ma anche tutto aperture». E altrove ribadisce, proseguendo la sua garbatissima apologia: «di fronte alla tranquilla scolasticità delle altre filosofie, quella cristiana è l’unica veramente in movimento».
Se a ciò si aggiunge il fatto - prosegue Pomilio nel già citato Dio nella società d’oggi - che «il rifiuto di Dio», in «altri periodi della storia […] vissuto in senso liberatorio», nella crisi novecentesca è stato accompagnato da sintomi più che evidenti di «malessere», si comprende perché la svolta introdotta nella Chiesa dal Concilio abbia finito per determinare nel «mondo secolarizzato» un modo totalmente inedito di porsi «dinanzi al fatto religioso».
Ma c’è ancora di più nel generale rimescolamento delle carte tra Chiesa e mondo moderno osservato da Pomilio: la crisi epocale che si è impadronita dell’uomo contemporaneo non riguarda tanto la religione, quanto piuttosto «la fede laica, o laicista, nell’umanesimo, nella scienza, nel progresso», ovvero i grandi «miti elaborati dalla cultura occidentale negli scorsi due secoli», i quali postulavano «la totale autosufficienza dell’uomo». Anzi, come Pomilio mette in luce nell’ultimo articolo della nuova serie, Umanesimo profetico, dedicato al pontificato di Karol Wojtyla, ora è proprio alla religione che tocca, paradossalmente, di restaurare quella «fede nel progresso» e «nella scienza» che «l’uomo ha perduto» pensando di fare a meno di Dio, perché anche «la scienza e il progresso […] rendono manifesta la sua trascendenza rispetto al mondo». Anche in questo senso, per Pomilio, la Chiesa compie la sua missione e conferma la sua dimensione eminentemente profetica, «prolungando nella storia», come si legge in Cristianesimo e cultura, «la rivelazione della Parola», sapendo «che il Regno non è di questo mondo», ma adoperandosi in pari tempo «perché sia di questo mondo».
La Chiesa, perciò, cui guarda, con trasporto filiale, lo scrittore abruzzese è quella riassunta nell’Intransigenza dell’amore: «una Chiesa di grande purezza che ha rinunziato alle velleità di primato e s’è affrancata sempre più dalle tentazioni del temporale per rendersi disponibile al servizio del mondo; una Chiesa dove si sono ridotte le apparenze della “sacralità” a vantaggio dell’intima “santità” e d’una forte volontà testimoniale […]; una Chiesa dove la vicinanza alle fonti evangeliche s’è fatta tanto più caratterizzante non solo nell’ordine della carità, ma nell’evidenza conquistata dal tema e dal senso del Cristo»: insomma la Chiesa del Quinto evangelio, quella che ogni generazione è chiamata a vivere e a costruire nel proprio tempo, ma costantemente proiettata verso la fi ne dei tempi, seguendo le orme, ogni volta da riscoprire, di Chi si è proclamato Via, Verità e Vita.
* Dalla Prefazione di Giuseppe Langella, docente di Letteratura italiana moderna e contemporanea in Università Cattolica, a Mario Pomilio, Scritti cristiani (Vita e Pensiero, 2014)
MILANO
Mario Pomilio, le soprese della riedizione degli Scritti cristiani
Tra gli undici nuovi capitoli, il testo di una conversazione tenuta in Cattolica nel 1979 di quello che, come afferma Giuseppe Langella nella prefazione, resta senza dubbio il nostro maggiore scrittore cattolico dell’età postconciliare