Nessun drammaturgo russo ha scritto del denaro e del capitalismo emergente alla fine del Ottocento in un modo più convincente di Aleksandr Ostrovskij. L’autore e la sua opera I lupi e le pecore (Волки и овцы), ancora poco conosciuti in Italia, sono stati presentati da Maurizia Calusio, giovane docente e ricercatrice di Letteratura russa, durante il quinto incontro del ciclo di conferenze Letteratura&Letterature, giovedì 28 novembre, nell’Aula Magna Tovini dell’Università Cattolica a Brescia. A dare voce ai personaggi della commedia è stato ancora una volta l’attore bresciano Sergio Mascherpa.
Scritta nel 1875 e tradotta per la prima volta in italiano nel 1924, I lupi e le pecore è ambientata in una tenuta nobiliare di campagna nel 1875, dieci anni dopo l’abolizione della servitù della gleba. Al centro della pièce è la giovane vedova Kupavina, alla quale il marito ha lasciato in eredità un considerevole patrimonio. Kupavina cerca di sfuggire alle brame della esosa possidente Murzavetskaya, che vorrebbe farle conoscere il nipote, il quale ha una forte dipendenza dall’alcool. Già in questa prima parte della trama è evidente il motivo che dà nome all’opera: l’esistenza di uomini “lupi”, che sono potenti e furbi, e quella di uomini “pecore”, che vengono sfruttati e usati e non hanno niente da opporre agli attacchi degli altri. Alla “lupa” Murzavetskaya è dato l’altolà solo quando arriva uno dei “lupi nuovi”, il capitalista Berkuto: freddo, intelligente e crudele. Alla fine, la vedova Kupavina decide di sposarsi con lui, ovviamente per la sua ricchezza, anche se ufficialmente per vero “amore”.
Aleksandr Ostrovskij, l’autore della commedia naturalistica, è poco noto in Italia. Tuttavia, è estremamente importante per la storia del teatro russo, tanto da essere considerato il suo “padre fondatore”. Nato a Mosca nel 1823 da una famiglia religiosa ma non aristocratica, quindi un tipico rappresentante della borghesia che si stava affermando, il drammaturgo è legatissimo all’elemento nazionale. Spesso Ostrovskij si è lasciato ispirare dai fatti di cronaca, un modo di procedere tipicamente naturalistico, che sta alla base anche de I lupi e le pecore, commedia tratta dalla notizia di una badessa che malversava i possedimenti di una vedova ingenua.
Dal famoso autore Ivan Turgenev, Ostrovskij fu definito lo "Shakespeare della classe mercantile russa", una descrizione che sembra adeguata, sopratutto rispetto alla costruzione raffinata dei suoi personaggi, che sono di fatto vivi e fedeli alla realtà senza mostrare una particolare profondità psicologica. «Le figure di Ostrovskij esistono innanzitutto nel loro dialogo che è il modo più antico della caratterizzazione - ha sottolineato Maurizia Calusio -. Così lo spettatore può conoscerli e riconoscersi in loro senza entrare nella loro mente».
Con I lupi e le pecore, Ostrovskij è nel pieno della sua maturità e dipinge quella che per la Russia dell’epoca fu una fase di transizione, segnata da cambiamenti sociali decisivi: l’abolizione della servitù della gleba e l’avvento della ferrovia anche nelle ampie distese russe. Su questo sfondo l’autore ci racconta una storia di “lupi vecchi”, rappresentanti di un mondo ormai passato, di “lupi nuovi”, che sfruttano i vantaggi del mondo nuovo, e di “pecore”. Queste ultime rappresentano senz’altro le persone che si fanno mangiare, cioè chiunque non riesca a tenere il passo dello sviluppo tecnico e del progresso sociale.
Per questo motivo è facile capire perché a quel tempo, sopratutto in provincia, l’opera abbia avuto un successo enorme e sia stata apprezzata anche dalla critica. Un fedele ritratto delle problematiche e delle incertezze di un’epoca in cui l’homo homini lupus si poteva constatare nella realtà.