Cinque studenti e un professore a mani nude contro il nazismo. È la vicenda della Rosa bianca, una delle più belle esperienze di resistenza non violenta al regime hitleriano nella Germania del 1942-43. Insieme a Hans e Sophie Scholl e agli altri amici, spicca la figura di Kurt Huber [nella foto a sinistra], condannato a morte come i suoi giovani allievi per “alto tradimento”. Le carte del processo a Sophie hanno dato vita nel 2005 al film "La rosa bianca - Sophie Scholl". Quelle del procedimento a carico del professore costituiscono il materiale di indagine del volume “Kurt Huber vor dem Volksgerichtshof. Zum zweiten Prozess gegen die Weiße Rose”. A presentarlo agli studenti della facoltà di Scienze linguistiche lo scorso 15 marzo, è stato il figlio, Wolfgang Huber, ospite della sede di Brescia per iniziativa di Alessandra Lombardi, docente di Linguistica tedesca.
Obiettivo della pubblicazione è la volontà di ricostruire una verità storica dei fatti partendo da un’analisi critico-testuale degli atti giudiziari che videro protagonista il padre Kurt: tra questi vi è il discorso di difesa (Verteidigungsrede) che lo stesso Huber, accusato di alto tradimento verso lo Stato, tenne nel 1943 davanti al Tribunale del Popolo nazionalsocialista (Volksgerichtshof) prima della sua esecuzione avvenuta il 13 luglio dello stesso anno.
Dall’edizione critica degli atti processuali emergono chiaramente connessioni di natura non solo concettuale, ma anche stilistica e testuale, con i volantini (Flugblätter) che Kurt Huber scrisse e diffuse all’Università di Monaco insieme ai suoi studenti per alimentare una «resistenza ideologica che – così l’ha definita il figlio Wolfgang – consisteva in una lotta senza armi e senza violenza contro una forma di Stato che si riteneva indispensabile per gli uomini, ma che non riteneva questi indispensabili per sé». Quella della Rosa Bianca è stata una vera e propria resistenza culturale contro un nemico difficile da debellare: una visione del mondo, la cosiddetta Weltanschauung del nazionalsocialismo, che, quando incitava il popolo tedesco all’edificazione di un “germanisches Europa”, non faceva certo riferimento al modello di stato germanico di diritto proposto da Tacito, bensì mirava alla fondazione di un pangermanismo assoluto, il cui unico obiettivo era la supremazia razziale del Volk tedesco, erroneamente riletta anche nei versi della prima strofa del componimento di Hoffmann von Fallersleben – divenuto poi l’inno nazionale tedesco – che si apre con l’esortazione “Deutschland über alles in der Welt“. Un accecamento collettivo che avrebbe prodotto una catastrofe senza precedenti e che i cinque universitari con il loro professore affrontarono cercando di mascherarne l’inganno con la sola forza delle parole. Un gesto forse ingenuo, forse romantico, ma certamente coraggioso e non inutile, come avrebbe spiegato qualche anno dopo, rievocandone la vicenda, Romano Guardini.
Secondo il professor Huber, rappresentante emerito della Weiße Rose Stiftung, associazione intitolata alla memoria del gruppo antinazista della Rosa Bianca, il problema delle analisi testuali dei documenti processuali non consiste tanto nel riconoscere i termini adottati, quanto nel ricostruire esattamente il significato che quelle stesse parole hanno assunto in quel particolare contesto storico e comunicativo. Il lessico del nazionalsocialismo ha contribuito alla formazione di una cultura popolare (Volkskultur) orientata ai principi del Reich e ispirata alla figura del Führer. Un pensiero totalitario che gli attacchi verbali della Rosa Bianca hanno cercato di contrastare e smontare con le armi di una cultura più pura e spontanea, repressa drasticamente benché fosse promotrice di ideali di libertà di pensiero e di espressione e cercasse di risvegliare la coscienza di un popolo sedotto da un regime dal volto diabolico. [Nella foto la riproduzione dei volantini della Rosa Bianca]
Anche mediante un approccio scientifico di matrice linguistica è possibile riconsiderare pagine indelebili della storia tedesca che – ha concluso il professor Huber – la Germania affronta e rilegge anche oggi non senza fatica: se alcuni vedono in persone come Kurt Huber ed i fratelli Scholl figure eroiche che come martiri hanno dato la propria vita per una causa altissima, c’è però ancora da lavorare intensamente per costruire una nuova Volkskultur consapevole del proprio passato e proiettata verso un futuro migliore. Un percorso di memoria storica, utile anche per le generazioni del nostro Paese affinché la storia non smetta mai di essere maestra di vita.