«È una disciplina di cui c’è estremamente bisogno perché le trasformazioni in cui siamo immersi hanno una portata grandissima e sfuggono agli apparati più istituzionalizzati come quelli del diritto e dell’economia. Eppure soffre, nello stesso tempo, di una chiara inadeguatezza a dare risposta alle domande che quei mutamenti sollevano». Mauro Magatti, preside della facoltà di Sociologia, in occasione della tre giorni milanese dell’Ais, la società scientifica che raccoglie la maggior parte dei sociologi italiani, fa il punto sullo stato della disciplina e presenta le scelte della sociologia in Cattolica insieme alle novità in arrivo.
A chi in questi ultimi mesi ha parlato di “suicidio” o di “omicidio” della sociologia italiana, Magatti risponde che è preferibile parlare di crisi: un termine che contiene in sé il senso di un bivio che non porta necessariamente verso il baratro: «Sono convinto che ci siano tante buone ragioni per una soluzione positiva – afferma -. La condizione? Che insieme al cambiamento di paradigmi, si lasci spazio anche a un cambio generazionale: è curioso che chi in tanti anni non ha saputo impedire questo stato di crisi, adesso pretenda di spiegare cosa si dovrebbe fare».
Se la sociologia italiana, rispetto a quella di altri Paesi con più solida tradizione, sconta l’incapacità di trovare uno statuto proprio - che per gli inglesi è lo sbilanciamento sulla ricerca empirica, per francesi e tedeschi l’approccio più filosofico e per gli americani la modellizzazione matematica –, c’è una questione di fondo che interessa tutta quanta la disciplina contemporanea. Ed è per Magatti la grande mancanza della sociologia dell’ultimo secolo: «Non è riuscita a individuare ambiti in cui le competenze di ordine tecnico nate all’interno della tradizione sociologica potessero trovare applicazione. Non è stata in grado di far dialogare, pur tenendoli distinti, il piano interpretativo, che fornisce le cornici di comprensione dei processi di trasformazione delle realtà sociali, con quello dell’intervento sulla realtà». Un esempio chiarisce il pensiero del professore: «La giurisprudenza, partendo da un contenitore unico, la laurea in legge, ha identificato nel tempo alcuni ambiti professionali (l’avvocato, il notaio, il magistrato, il consulente legale ecc.), diversi percorsi da intraprendere. Ciò che manca alle facoltà di sociologia è proprio un’identificazione forte, precisa e condivisa degli ambiti professionali che escono fuori dal contenitore comune, la laurea in sociologia».
Ai sociologi oggi è richiesto di avere più cura nel capire quali sono le nicchie in cui applicare il sapere sociologico. «Per esempio il tema delle politiche sociali, quello dell’organizzazione, o ancora quello della gestione delle emergenze e dei rischi». Che, guarda caso, sono gli ambiti con cui si è caratterizzata la facoltà, nata in Cattolica nel 2001, nello sforzo di fornire ai laureati strumenti per applicare le conoscenze sociologiche nel mondo del lavoro: il servizio e le politiche sociali; l’area della gestione della sicurezza; le dinamiche dell’organizzazione e del lavoro.
I risultati sembra comincino a premiare questa scelta, sia sul fronte degli iscritti, che con una crescita progressiva si sono stabilizzati verso le 300 matricole all’anno per le triennali, senza contare l’interfacoltà con Lettere per Linguaggi dei media; sia sul fronte dell’inserimento lavorativo, con i dati dell’ultima rilevazione Stella-Cilea che smentiscono il luogo comune della facoltà di Sociologia come “fabbrica di disoccupati”: «I laureati triennali del 2008 a un anno dalla conclusione degli studi sono per l’83% occupati, sia pure con forme contrattuali diversificate, ma più della metà con contratti a tempo determinato e indeterminato».
Ma si prepara già una nuova sfida per la facoltà di largo Gemelli: non basta gestire, sia in chiave critica che di intervento, solo i fallimenti della modernizzazione. «Bisogna partecipare in modo attivo al processo di innovazione che, nella società dei servizi e della comunicazione, non passa solo dalla ricerca tecnologica e dalle sue applicazioni, ma anche dalla capacità di intercettare domande che le stesse imprese non hanno colto perché ancora inespresse. Un po’ come è avvenuto per la diffusione dei cellulari, dove tecnologia e intuizione dei crescenti bisogni di comunicazione sono state entrambe determinanti. Per questo – spiega il professor Magatti - accanto agli attuali indirizzi, attiveremo un’area dell’innovazione che offra competenze professionali nell’ascolto e nella decodifica di questi nuovi bisogni».
Senza tuttavia perdere di vista che non esiste sociologia che non abbia alle spalle una antropologia: «Soprattutto per noi e per la nostra tradizione - conclude - l'analisi dei processi sociali non è mai neutrale, ma si pone sempre in relazione alle premesse e alle implicazioni antropologiche. Anche su questo, la facoltà intende qualificarsi e distinguersi».