Sono passati vent’anni dal conflitto tribale che ha insanguinato gli stati del Ruanda e del Burundi nel 1994. Per ricordare il genocidio ruandese, che fu uno dei più dolorosi massacri perpetrati nella storia del Ventesimo secolo con l’uccisione sistematica di un milione di persone fra uomini, donne e bambini, in massima parte di etnia Tutsi, minoranza rispetto agli Hutu, la sede di Brescia ha organizzato il 26 marzo W l’Africa! Una riflessione sull’Africa tra passato e futuro. Una giornata divisa in due parti: la prima dedicati Bresciani in Africa / L’Africa a Brescia, che, per significative campionature, ha fatto emergere soprattutto l’impegno dei bresciani di ieri e di oggi attivi nel continente africano e nell’accogliere “qui e ora” quanti dalle coste africane hanno preso il largo giungendo fin nella nostra città. Il pomeriggio è stato dedicato in maniera più specifica a ricordare quanto accadde vent’anni fa in Ruanda, una commemorazione condotta senza rimanerne imbrigliati, ma sostenuti dal desiderio di comprendere quanto è accaduto per poter meglio valutare e impostare ogni azione e realizzazione futura.
Gli interventi sono stati affidati a Paolo Borruso, docente di Storia contemporanea all’Università Cattolica, Anna Chiara Cimoli, ricercatrice e insegnante distaccata presso la Comunità di Sant’Egidio di Milano, docente di Pedagogia Sociale presso l’Università Cattolica, Anna Casella, docente di Antropologia culturale alla facoltà di Scienze della formazione dell’Università Cattolica, Aldo Pigoli, docente di Regional Studies (Africa-Medio Oriente) e di Storia della civiltà e delle culture politiche dell’Africa contemporanea della facoltà di Scienze linguistiche e letterature straniere e dell’Alta Scuola di Economia e relazioni internazionali (Aseri). Con loro don Roberto Lombardi, assistente pastorale della sede di Brescia e Co-fondatore con la sorella Enrica di Museke, una realtà di missione e solidarietà da lungo operante nei due Paesi africani.
Le divisioni etniche del Ruanda furono principalmente le tragiche conseguenze del dominio coloniale europeo, prima tedesco e poi belga, che introdusse la carta d'identità etnica e favorì l’etnia Tutsi, considerata più ricca e di origine differente, sebbene entrambe appartengano allo stesso ceppo culturale Bantu e parlino la stessa lingua. Questa piaga è ancora aperta, la verità su quei fatti drammatici non è ancora venuta interamente alla luce, la pacificazione culturale e sociale fatica a radicarsi.
Ma è proprio in questa terra, e forse per la complessità delle questioni ancora aperte, che si è intreccia l’esperienza di Museke, “sorriso” in lingua kirundi, nome dato all’associazione fondata da Enrica Lombardi nel 1969. All’invio delle prime volontarie in Burundi, lasciandosi ispirare dall’enciclica di Paolo VI Populorum Progressio, Museke perseguì l’intenzione di diventare un gruppo d’impegno missionario nei paesi in via di sviluppo, dapprima solo in Burundi e poi, dal 1983 anche in Ruanda.
Fu proprio qui, nell’articolato e vivace complesso pastorale e assistenziale sorto a Rilima, che la guerra civile del 1994 sembrò spegnere ogni prospettiva di crescita e di cooperazione mettendo a repentaglio le stesse vite umane: Museke dovette così abbandonare il Centro e i volontari, insieme a disabili e numerosi civili presenti al momento della fuga, riuscirono a mettere in salvo 41 bimbi orfani rientrando fortunosamente in Italia. Ma la fiammella della fiducia e della speranza si riaccese già nel 1996, volgendo lo sguardo dapprima al continente latino-americano, per poi ritornare in Africa.
Attraverso Museke, l’Africa è legata a filo doppio con l’Italia e, in particolar modo con Brescia, da sempre terra fertile di solidarietà e d’impegno missionario, come la storia insegna. L’intero territorio bresciano ha creato quell’ambiente favorevole nel quale hanno potuto maturare numerose e diverse vocazioni di servizio al Vangelo: nel campo dell’educazione, dell’impegno sociale e assistenziale, della politica e dell’editoria, favorendo, in particolare, la vocazione di uomini e donne “migranti del e per il Vangelo”, esempi di generosità e disinteresse che, come già fece il gesuita Giulio Aleni nei Seicento, valorizzarono i limiti del loro tempo per accogliere e rendere possibile la sfida dell’incontro e dell’inculturazione.
Il seminario di studi si è snodato fra approfondimenti e testimonianze, riflessioni e prospettive, perché il “fare memoria” degli eventi storici e del recente passato offra lo spunto per guardare oltre il presente e stabilire una progettualità fondata sulla consapevolezza e sulla responsabilità. Le carneficine e i conflitti appartengono purtroppo al lungo fluire delle relazioni umane, sono ovunque e si presentano sotto infinite forme, senza ricorsi né limiti se non quello di una profonda precarietà. Al tempo stesso, gli storici si vanno sempre più convincendo che non basta limitarsi a descrivere una storia-battaglia, dal momento che essa non è più intesa come un fondamento identitario. Ogni celebrazione, ogni anniversario non può servire solo per piangere, ma deve aiutare a capire, affinché la pace non rimanga solo l’oggetto della preghiera dei credenti, ma diventi per tutti indagine della ragione e quindi il più alto atto di civiltà.