di Carolina Iaquaniello *
A Lisbona fa caldo. Fa caldo come a Roma in sessione d’esami, ma lo senti di più, quando è giugno e stai spendendo il tuo ultimo mese d’Erasmus a tavolino a preparare esami. Ti senti fermo e la prospettiva di tornare a casa ti sembra uno scivolamento verso una paralisi ancora più grande.
È lì che se ti arriva un’email propositiva dell’Ufficio internazionale salti sulla sedia. Una Summer School. Per Medicina? Per gli Undergrad? Cinque università. L’Europa, ancora. Di più. Ci provo, mi fido. E proprio mentre sono in aeroporto per tornare a Roma apro tristissima, distrattamente, la casella di posta. Un paio d’ore dopo: “Oh, sei tornata!” “Sì, ma tra un paio di mesi vado a Parigi!”. “A Parigi?”
Avevo scelto di andare in Erasmus senza pensarci troppo, seguendo un istinto e una necessità di cambio ancora non ben definita, avevo scelto Lisbona proprio perché avvolta da un’aura d’ignoto (la lingua, il Paese, tutto). Dieci mesi (da settembre a luglio) per pensare in un’altra lingua, lavorare in un altro modo, vedere com’è studiare e vivere lontano. Un salto nel buio per provare a definire meglio chi si è e chi si vuol diventare. Ho poi scelto Parigi perché ho anche capito la bellezza di spostarsi con uno scopo, un obiettivo ben preciso: la necessità, raffinata dal ragionamento e dall’esperienza, fa scegliere i passi successivi con attenzione. L’esperimento aveva decisamente funzionato.
Parliamo di mobilità europea da tantissimi anni, parliamo di partire o più spesso sentiamo amici di altre facoltà raccontarci di quanto sia meraviglioso uscire dalla “scatola” università. Qualcuno di noi ci prova, si lancia e torna, con gli occhi più limpidi, elasticità e fame di movimento. Superata la prima fase di: “E adesso che ci faccio qui?” la domanda si evolve in: “Per ora cosa faccio qui per continuare il percorso?”
Cinque tra le migliori facoltà europee di Medicina (Paris Descartes, Charitè di Berlino, Università di Antwerp, Karolinska Instituet di Stoccolma e Università Cattolica del Sacro Cuore) hanno lavorato e stanno lavorando per superare le differenze curricolari, creando un percorso di condivisione di saperi che interessi studenti, docenti e personale amministrativo. Una vera mobilità europea creata e modellata per lo studio della medicina, prendendo il meglio di ogni Scuola per creare un super-ente formativo poggiato su solide basi e intenti comuni (obiettivo finale: formarci come medici). Dopo un lungo e minuzioso lavoro questa summer school era il progetto pilota.
Quattro studenti e un docente per ciascuna facoltà partecipante al progetto siamo stati ospiti dell’Università di Parigi. Il tema era “Serious Games in the field of Critical Care and Emergency Medicine”: le lezioni tenute in inglese, mattina e pomeriggio. Per una settimana ogni sera gli studenti francesi ci hanno accolto e guidato alla scoperta della città, con l’approccio meno turistico possibile, hanno saputo farci vivere come avrebbero fatto loro, dalla birra nel baretto dietro l’Università al picnic lungo la Senna (gran finale).
Durante il mio anno portoghese, durante la mia estate fuori come tirocinante in Traumatologia in un ospedale di Phnom Penh (Cambogia) con i miei colleghi spagnoli conosciuti a Lisbona, durante la summer school a Parigi cambiava lo scenario ma un concetto restava ben chiaro: siamo studenti di medicina e la medicina può non essere solo il fine, può anche essere il mezzo.
E il tempo non si perde: si vive, si usa, si investe.
Nota: Per chi si stesse chiedendo: “Cosa vuol dire serious games?”: quando l’ho letto confesso di non avere idea di cosa si trattasse ed era più la parte “Critical care and emergency medicine” ad avermi attirata. I “serious games” sono dei veri e propri giochi, sia in modalità realtà virtuale che realizzati tramite modelli, con obiettivi e livelli da superare, basati su temi non ricreativi. Il serious game ha un obiettivo formativo ben preciso. Pensati per l’addestramento di personale militare, sono stati allargati al campo della medicina, fornendo uno strumento utilissimo per la formazione pratica dello studente e del personale medico, e per la diffusione di nozioni salvavita come il Bls a un pubblico generale.
* Studentessa del sesto anno del corso di laurea in Medicina e Chirurgia, sede di Roma