«Quando c’è sintonia tra due persone, i neuroni iniziano a parlarsi: noi siamo in grado di individuare questa sinergia e di interpretare il movimento neuronale all’interno dei due cervelli». Sembra fantascienza, eppure è già realtà. Michela Balconi, a capo dell’Unità di Ricerca in Neuroscienze Sociali e delle Emozioni (Dipartimento di Psicologia) dell’Università Cattolica, ci porta alla scoperta dell’Hyperscanning, il nuovo paradigma delle neuroscienze che permette di conoscere il funzionamento di due cervelli in interazione.
Che cos’è e come funziona l’Hyperscanning?
«La parola “Hyperscanning” indica una sorta di processo di scansione di ordine superiore, che ha come oggetto il legame tra due o più persone. Dal punto di vista delle neuroscienze, l’Hyperscanning indica una modalità, un paradigma, per esaminare come funziona il cervello, quali sono i processi che si attivano quando ci sono interazioni. Non è una tecnologia, ma si serve di alcune tecnologie: si avvale infatti di strumenti come la risonanza magnetica o l’elettroencefalogramma per studiare la dinamica di interazione tra due cervelli. L’Hyperscanning permette di monitorare il comportamento emotivo, le strategie mentali, cognitive, di problem solving, la cooperazione, il team building».
Come nasce questo nuovo paradigma e come si è sviluppata la ricerca?
«L’esordio dell’Hyperscanning risale a una decina di anni fa negli Stati Uniti, dove alcuni ricercatori che si occupavano di processi sociali hanno coniato per primi questo termine. Ma in particolare noi, come Università Cattolica, possiamo dire di essere effettivamente il primo gruppo di ricercatori che ha applicato questo paradigma usando una tecnica specifica, basata sulla tecnologia NIRS (Near-Infrared Spectroscopy): si tratta di un sistema di rilevazione delle attività del nostro cervello, un caschetto con lettura a infrarossi (tramite fibre ottiche) che permette di realizzare mappe della distribuzione dell’attività emodinamica nel cervello. A livello nazionale, inoltre, abbiamo sviluppato molte ricerche soprattutto in ambiti applicativi: dopotutto, questo paradigma ha senso se lo si utilizza nei contesti di vita reale».
Quali sono le applicazioni concrete dell’Hyperscanning?
«Ci sono tre grosse macrocategorie. Il mondo dello sport: è possibile andare a studiare quei processi legati al training, all’interazione tra allenatore e squadra, per cogliere la condizione ottimale per l’addestramento. L’utilizzo clinico: è fondamentale, per esempio nella comunicazione medico-paziente, con tutti gli aspetti anche potenzialmente riabilitativi. E infine l’ambito del management, delle realtà aziendali: studiare le dinamiche di interazione umane, come si comporta il cervello, sta diventando sempre più cruciale per le aziende».
Perché le aziende sono particolarmente interessate all’Hyperscanning?
«Ultimamente si sta sviluppando un vero e proprio filone che è quello del neuro-management, lo studio dei processi manageriali, della leadership. Si vanno a rilevare le performance legate all’interazione capo-collaboratore, studiando, ad esempio, le reazioni del collaboratore di fronte al feedback del proprio capo. L’Hyperscanning può diventare fondamentale ad esempio nella valutazione del potenziale di una nuova risorsa che deve essere assunta: l’applicazione di questo paradigma può servire a capire se la persona ha determinate skills nella gestione delle dinamiche di gruppo. L’Hyperscanning va infatti a rilevare delle caratteristiche della persona che magari sono sconosciute anche alla persona stessa: i processi consapevoli coprono infatti solo il 30% del nostro cervello. L’altro 70% è inconsapevole: senza strumenti appositi per rilevarlo, rimane invisibile. Eppure conta molto, perché condiziona il resto del nostro comportamento».
Quali saranno i futuri sviluppi?
«Accanto ai tre filoni di applicazione di cui abbiamo già parlato, stiamo sviluppando un ulteriore filone che è quello legato alle tematiche sociali. In collaborazione con un gruppo di ricercatori internazionale, stiamo studiando il comportamento morale, per capire in che modo le persone arrivano a condividere regole e condotte morali, come avviene la trasmissione della condivisione dei valori da una generazione all’altra. Anche in questo caso, la nostra ricerca interessa anche alle aziende, che già adesso ci chiedono di aiutarle per capire come potenziare le proprie risorse attraverso la condivisione di un sistema di valori, un sistema morale che garantisca la fidelizzazione del dipendente».